EUTANASIA/ La Dat di un paziente con demenza è un atto libero e consapevole?

EUTANASIA/ Quella zona grigia della nostra libertà non può mai giustificare una corsa verso la morte

 

Premessa. Viviamo in un momento del tutto particolare nella storia della vecchia Europa, da sempre all’avanguardia nel coltivare i diritti umani come valori universali, che ogni volta occorre contestualizzare, per renderli aderenti e coerenti con il momento in cui stiamo vivendo. Diritti umani come la vita, la libertà, la responsabilità personale e sociale, e molti altri ancora sono i diritti per cui si sono battute intere generazioni fino a ottenerne un riconoscimento pieno.



Il nuovo dilemma. Oggi la vera sfida è la ricerca del punto di equilibrio indispensabile per poter esigere questi diritti, tutti e non uno alla volta, o uno sì e l’altro no. Può accadere, ad esempio, che tra il diritto alla vita e il diritto all’autodeterminazione, ossia alla possibilità di scegliere in scienza e coscienza ciò che più si desidera, si crei un’area grigia, una sorta di nebbia che impedisce di guardare in profondità per capire cosa sia giusto e cosa non lo sia; cosa sia bene per sé e cosa non lo sia. In questa strana terra di mezzo, in cui spesso si respira nello stesso tempo un’atmosfera pesante e rarefatta, che toglie il fiato e soprattutto toglie lucidità al decisore, sia al soggetto, che a un suo familiare o perfino al decisore istituzionale, si colloca una vicenda realmente inquietante, se si tiene conto di ciò che è successo in questi giorni nelle Rsa di tutto il mondo.



Il fatto. Martedì 21 aprile il tribunale supremo dei Paesi Bassi ha stabilito che i medici possono eseguire l’eutanasia nei pazienti con demenza avanzata, se il paziente ha precedentemente redatto una direttiva scritta. Forse oggi in modo più elegante, ma non per questo meno drammatico, qualcuno parlerebbe di suicidio del consenziente, per sottolineare il valore primario della libertà anche rispetto allo stesso diritto alla vita.

Nella decisione, che viene giustamente considerata storica perché è tra le prime in tal senso, il tribunale ha affermato che un medico può rispondere a una richiesta scritta di eutanasia, presentata prima che si sviluppi una demenza avanzata, anche se le condizioni del paziente impediscono di confermare tale richiesta.



In Belgio l’eutanasia è legale dal 2002 se sono soddisfatti alcuni criteri, che includono richiesta volontaria e ben ponderata del paziente, sofferenza insopportabile senza prospettive di miglioramento e mancanza di alternativa ragionevole. Se tali condizioni sono soddisfatte, l’eutanasia non è un reato punibile.

Nel caso specifico, per comprendere la gravità della questione e i rischi a cui sono sottoposti molti altri anziani, vale la pena puntualizzare 5 passaggi chiave:

a) la donna aveva messo per iscritto che, se fosse stata ricoverata in una casa di cura perché demente, avrebbe preferito anticipare la sua morte, ricorrendo all’eutanasia;

b) il medico curante aveva preso alla lettera la richiesta della paziente, nonostante fossero emerse alcune perplessità, ma senza ulteriori approfondimenti;

c) i pubblici ministeri in un primo momento avevano sostenuto che il dottore non avesse fatto abbastanza per confermare il consenso della donna, che una volta entrata in Rsa aveva dato segnali contrastanti, su cosa realmente volesse;

d) all’epoca, il tribunale aveva concluso che il medico aveva effettuato l’eutanasia secondo la legge e non era stato negligente;

e) il 21 aprile 2020, la Corte Suprema ha cercato di chiarire il rapporto demenza-eutanasia, affermando: “Un medico può rispondere a una richiesta scritta di concessione dell’eutanasia alle persone con demenza avanzata. In tale situazione, devono essere soddisfatti tutti i requisiti legali per l’eutanasia, compreso il requisito che vi siano sofferenze senza speranza e insopportabili. Il medico non è quindi punibile”.

Il medico è stato assolto per omicidio nel caso emblematico dell’eutanasia olandese, ma René Héman, presidente della Royal Dutch Medical Association, ha avvertito che la situazione rimane complessa per i medici, perché davanti a ogni richiesta di porre fine a una vita, devono sempre verificare cosa voglia il paziente in quel preciso momento e fare una valutazione individuale.

Alcuni nodi irrisolti. Il primo nodo cruciale riguarda le condizioni della validità di una richiesta e non a caso il legislatore ha previsto come condizione essenziale che qualunque decisione in merito alle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) possa essere sempre revocata.

Il secondo nodo riguarda il difficile rapporto tra demenza e libertà; tra gravità della condizione clinica e condizioni di reversibilità o meno di una decisione. La donna sembrava volesse tornare sulla sua decisione, ma in realtà per il medico ha prevalso quanto scritto qualche anno prima. Non a caso il Pm inizialmente aveva condannato il medico, accusandolo di non aver cercato di capire cosa la donna volesse in quel momento e non quando aveva redatto il testamento biologico.

Ma un altro punto importante della vicenda riguarda proprio le tre condizioni che la legge belga ritiene fondamentali per considerare legale l’eutanasia e quindi non punibile, cominciando dalla stessa richiesta volontaria e ben ponderata del paziente. Quali garanzie ci sono che quando la paziente ha redatto le sue Dat non ci fossero già i primi sintomi di demenza e quindi non venisse meno proprio il requisito della adeguata ponderazione? L’Alzheimer, ad esempio, ha un esordio precoce e un decadimento delle funzioni cognitive che può essere molto lento e che nei primi tempi sfugge spesso anche ai familiari. Le Dat di una persona demente non possono avere valore legale, perché viene meno proprio il requisito del consenso libero e consapevole e poiché la demenza ha un andamento lungo e complesso, con brevi accelerazioni, ma anche con lunghe pause, non sapremo mai in che condizioni stava la persona quando ha scritto il suo testamento.

Conclusione. Viceversa sappiamo molto di come possano sentirsi le persone messe in Rsa, dove spesso sperimentano la solitudine, il distanziamento emotivo prima ancora di quello fisico, in alcuni casi un formalismo burocratico nell’assistenza, più o meno qualificata e competente che ricevono. Può essere facile in questi casi dire e scrivere che si preferirebbe morire se dovesse sopraggiungere un’ulteriore perdita di autonomia e un successivo decadimento delle capacità cognitive. Certe case di riposo appaiono come prigioni, benché apparentemente dorate, in cui la dignità di una vita viene annientata proprio negli ultimi istanti, anzi come nel caso belga, nel nome di una presunta dignità, si pone fine alla vita, utilizzando come giustificazione il rispetto della sua volontà.

Eppure anche la legge belga pone una condizione fondamentale: verificare se c’è un’alternativa, la possibilità di dare e ritrovare senso nella propria vita, prima di porvi fine in modo drammaticamente irreversibile.  Prima ancora delle Dat, c’è un’altra cosa ancora più grave che può uccidere tanti anziani, più o meno dementi: l’assenza di rispetto nei loro confronti.

Forse per capire il dramma di tanti anziani, e saranno sempre di più, se li lasciamo soli, in cui si confondono tristezza e sofferenza con una possibile depressione legata alla perdita progressiva dell’autonomia, vale la pena leggere le parole di una persona morta in una Rsa italiana in tempi di coronavirus: “Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. (…) ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso…”.

Demenza, depressione, disagio possono creare una precondizione scivolosa per far apparire l’eutanasia come una richiesta liberamente scelta, mentre invece è solo il risultato di una sofferenza cominciata nella solitudine, soggettiva e oggettiva.