Il prossimo 7 novembre entrerà in vigore in Nuova Zelanda la “End of Life Choice Act 2019”, la legge sull’eutanasia legale emersa dal referendum del 2020 votato assieme alle Elezioni Politiche (che sancirono la rielezione della premier Jacinda Ardern): la Conferenza Episcopale neozelandese (Nzcbc) ha lanciato un lungo appello diffuso sul portale web per provare a sensibilizzare l’opinione pubblica in merito al tema del “fine vita”.



«La disponibilità legale dell’eutanasia in Nuova Zelanda non cambia le convinzioni cattoliche riguardo a questa pratica: la vita umana è sacra e non dovremmo mai togliere la vita ad un’altra persona», è il passaggio centrale dell’appello dei vescovi neozelandesi, riportato dai media vaticani nella giornata di martedì. In termini di legge, dal 7 novembre prossimo in Nuova Zelanda la morte medicalmente assistita sarà possibile per tutti i maggiorenni (over18) affetti da malattia terminale o che si pensa abbiano 6 mesi o meno di vita, e che si trovano in uno stato avanzato di declino irreversibile: con il referendum si è deciso che la normativa sancisca questo criterio nodale per il via libera alla “dolce Morte”, «una sofferenza insopportabile che non può essere alleviata in un modo che il malato considera tollerabile».



L’APPELLO DEI VESCOVI: “TESTIMONIARE LA SPERANZA SEMPRE”

La Chiesa in Nuova Zelanda si dice molto preoccupata per l’accettazione della società e della politica in merito alle condizioni delle persone più vulnerabili: «gli anziani potrebbero pensare di essere diventati un peso per la famiglia e per la società», rilancia la conferenza Nzcbc annunciando come nelle strutture cattoliche non saranno permesse pratiche di eutanasia. I vescovi di Wellington hanno poi invitato i fedeli a guardare a due esempi nella storia della fede per superare la crisi umanitaria e morale in corso: Giobbe, «che ha offerto una testimonianza meravigliosa di perseveranza nella fede», e i genitori che, «anche quando i figli si comportano in modo contrario al Vangelo, non si allontanano, ma restano loro accanto, sempre pronti a pregare e ed offrire una mano o una parola che riorienta, piuttosto che rimproverare». I vescovi insistono nel riaffermare la necessità di testimoniare la speranza del Vangelo di Cristo sempre, anche nella sfida contro la “cultura dello scarto” esemplificata dalla legge sul fine vita: «La nostra fede ci chiama a rimanere presenti con il sofferente. Questo è infatti ciò che significa ‘consolazione’: sopportare la sofferenza dell’altro condividendola; entrare nella sua solitudine per farlo sentire amato, accettato, accompagnato e sostenuto; testimoniare la speranza attraverso la vicinanza». In questo modo, conclude la conferenza Nzcbc, «i luoghi della morte assistita potranno trasformarsi in avamposti dello Spirito Santo, in sorgenti di speranza che aprono la strada all’incontro con Dio». Il “piano” offerto dalla Chiesa è semplice e allo stesso tempo impegnativo: tutelare gli obiettori di coscienza, incentivare le cure palliative, accompagnare – «che non significa approvare» – le persone in fin di vita che richiedono l’eutanasia. La nota della Chiesa neozelandese afferma nelle linee guida finali, «accompagnare le persone in fin di vita non è facile, perché richiede coraggio, disponibilità al dono di sé ed uno sguardo contemplativo che veda nell’esistenza di tutti un dono, una meraviglia unica e irripetibile».

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