«Io credo nel dovere morale del medico di portare a morte un paziente»: non usa mezzi termini il dottor Mario Riccio, responsabile del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Casalmaggiore (Cremona) e famoso per esser stato il dottore che ha accompagnato alla morte Piergiorgio Welby ormai oltre 16 anni fa, malato di distrofia muscolare che rifiutò il trattamento che lo teneva ancora in vita. Il medico in prima linea oggi per il referendum sull’eutanasia spiega al “Fatto Quotidiano” di avere una specifica deontologia tutt’altro che in linea con quella ufficiale, tanto da arrivare a definirsi nel giusto qualora «porti a morte» un paziente che lo richiede.



«Ma l’articolo 17 del codice deontologico dei medici è un romanzo: ha subito nel corso del tempo tantissimi cambiamenti. Sia dopo le vicende Welby ed Englaro che dopo la sentenza Fabo. L’ordine dei medici all’inizio è andato in totale confusione. Nei giorni precedenti venne detto che il medico non avrebbe mai potuto partecipare ad atti che comportino la morte del paziente. Poi fu detto che il medico sarebbe andato incontro a sanzioni: un fatto gravissimo perché la sanzione a cui si alludeva era la radiazione, quella che ho rischiato io nel 2006 e dire a un medico “ti radio dall’albo” significa metterlo in mezzo a una una strada perché non può più lavorare», rilancia il dottor Riccio, definendo addirittura «talebani» chi voleva sanzionare la sua scelta e quella di altri medici in aiuto de pazienti sofferenti come Welby, Eluana, Dj Fabo (attenzione però a fare di tutti i casi il medesimo, errore da non compiere mai in quanto ogni singolo caso è drammatico a modo suo e con sfumature e storie anche completamente diverse, ndr). La tesi di Riccio è che un medico oggi ha il pieno dovere di portare a morire il proprio paziente dato che è la stessa medicina «che molto spesso ha condotto i pazienti nella condizione di richiedere la morte immediata. Perché la medicina moderna, né quella di Ippocrate né quella di 20-30 anni fa, crea oggi situazioni che non creava in passato: Dj Fabo, Eluana Englaro e Piergiorgio Welby e tanti altri casi. Non esistevano perché la medicina non li creava, così come non creava delle prognosi lunghe per i pazienti tumorali».



IL MEDICO DI WELBY: “LA CHIESA RESTI IN RETROVIA”

Siccome la medicina ha creato tali condizioni, allora il medico deve avere la possibilità – anzi, il dovere – di «dare la morte a chi la richiede». Una tesi spiazzante quella che porta il dottor Riccio a scontrarsi direttamente con il giuramento di Ippocrate, con lo Stato e con la Chiesa Cattolica: «Se io medico ho creato questa condizione e il mio tentativo di portare un miglioramento è fallito a questo punto io stesso devo essere attore principale, devo rispondere positivamente alla richiesta del paziente […] io ho il dovere morale, se il paziente che è in condizione di sofferenza fisica o psichica, e ha una prognosi breve, di aiutarlo. Se lui mi chiede questa alternativa di morire oggi, adesso, immediatamente, io non posso sottrarmi secondo la mia etica», spiega ancora al “Fatto”. In merito all’intervento della Cei e del Vaticano contro il referendum sull’eutanasia, Riccio – pur rispettando la loro posizione – li derubrica come «posizione modesta, di retrovia. Hanno capito che ormai è una battaglia che è inutile combattere perché la perderanno come hanno perso l’aborto e il divorzio», augurandosi infine che «non vogliano portare il paese allo scontro frontale come è stata fatto per l’aborto o il divorzio. Se la vita è un dono ne faccio quello che voglio. Quello che vale per loro, vale per loro». Il tema del dolore e della sua accettazione viene infine liquidato dal professore come «argomento debole» dato che «esiste una quota di pazienti (il 3-4%) che non risponde alle cure palliative, a loro cosa posso offrire? In Olanda e Svizzera il 4% dei malati chiede la morte medicalmente assistita e questo è anche il dato percentuale per coloro per cui c’è la mancata risposta delle cure palliative». Per il dottor Riccio l’ipotesi migliore di una legge in Italia dopo il referendum sarebbe la versione olandese dell’eutanasia, ovvero massima libertà di scelta per tutti: «Da quando è morto Welby ci sono voluti 15 anni per avere il Biotestamento, 9 dalla morte di Eluana. Adesso in soli 4 anni dal caso Fabo abbiamo la possibilità di una legge. È tutto più veloce, prima i temi etici erano devoluti alla sola Chiesa, adesso non è più così. In 4 anni siamo già a un referendum e a una legge che spero non sia truffa. La medicina si è evoluta, i percorsi sono più complicati e ci vogliono risposte più articolate». Una visione inquietante, seppur ‘comprensibile’ nella ‘logica’ di partenza del dottore: in una società senza Dio, senza la concezione di vita come articolazione di un’esistenza con un’origine e un destino, davanti al dolore l’unica vera alternativa rimane la fine immediata di tale sofferenza. Una società fondata non più sulla vita, ma sulla morte.

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