EUTANASIA CHOC IN BELGIO, “VOGLIO MORIRE E DONARE AGLI ALTRI”
Ha 16 anni, è malata da tempo per un tumore al cervello e la scelta è quella di non voler più vivere: la storia dell’eutanasia di Eva, nome di fantasia con qui è divenuta famosa in Belgio, non è affatto dissimile da quella di centinaia di migliaia di altri casi che nel Paese che ospita le istituzioni Ue da anni ormai usufruiscono della legislazione più “spinta” sulla “dolce morte”. Mentre in Italia il dato inquietante nel 2022 vedeva un suicidio compiuto o tentato ogni 10 ore, specie tra i più giovani, in Belgio lo Stato invita e consiglia la scelta del suicidio assistito come ancora di “salvezza” dal dolore della malattia (fisica o mentale che sia) e delle fatiche del vivere.
Succede però che Eva annuncia a mezzo stampa della sua drammatica scelta personale e immediatamente si ritrovi incensata e quasi “canonizzata” dai quotidiani progressisti fiamminghi: su “Le Soir” dello scorso 16 ottobre, il cronista Alain Lallemand mostra nell’intervista alla 16enne malata e prossima ormai all’eutanasia, tutto l’eroico gesto di volersi togliere la vita e al contempo di voler donare gli organi. «Ne ho abbastanza, ho deciso di morire aiutando le persone», spiega Eva in quell’intervista.
L’ELOGIO DELLA SINISTRA PER LA SCELTA DI EVA IN BELGIO: RESTA L’ALLARME EUTANASIA
L’elogio “spinto” del quotidiano progressista di sinistra in Belgio di fatto consegna all’opinione pubblica di un simbolo da seguire per tutti, specie per i giovani: «Eva ha deciso di morire, ma una morte che non è vana. Pochi giorni dopo il suo sedicesimo compleanno, ha donato il suo fegato, i suoi reni, i suoi polmoni e ha salvato molte persone in Belgio e in Europa». Basta avvicinarsi a lei e se ne rimane «affascinati», confessa il cronista che l’ha incontrata prima del suicidio assistito.
Dopo 36 ore di percorso terapeutico per l’eutanasia e l’espianto degli organi, Eva è morta, nella sua camera d’ospedale e nella sua scelta: un dramma nato dalla libertà, o una scelta “indirizzata” da una cultura che pone la seduzione della “fine dolore” prima della compagnia alla vita? Forse non lo sapremo mai, ma per la sinistra belga (e non solo) invece la risposta è chiara e netta: è giusto, anzi eroico e da seguire come esempio il volersi togliere la vita a 16 anni donando gli organi. Come hanno detto di recente in una lunga nota dedicata al tema dell’eutanasia i vescovi del Triveneto – nella regione dove da emergono sempre più casi potenziali e richieste di suicidi assistiti – «Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale. Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato, è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata».