L’approssimarsi della scadenza del 24 settembre crea una forte preoccupazione in tanti di noi, soprattutto parlamentari, anche per il perdurare di una crisi che insegue ben altri obiettivi. Eppure lo spettro incombente di una legalizzazione dell’eutanasia, o se si preferisce di una legittimazione del suicidio assistito rende ancor più stridente il flop drammatico del Parlamento, che non è riuscito a scrivere una legge per disinnescare questo pericolo.



Forse per questo vale la pena ripercorrere le tappe che 15 anni fa condussero l’Olanda ad approvare la legge che legalizzava l’eutanasia; nonostante allora venissero messi alcuni limiti per prevenire possibili abusi, in pochi anni l’eutanasia si è diffusa al punto da apparire quasi endemica, tanto da essere applicata anche senza il consenso del paziente.



Tutto inizia nel 1973, quando il Tribunale distrettuale condanna il medico olandese Geertruida Postma per il reato di eutanasia: aveva ucciso la madre gravemente malata, somministrandole un farmaco letale. La cosa sarebbe passata totalmente sotto silenzio se non fosse stata la stessa dottoressa Postma ad autodenunciarsi, ottenendo una grande risonanza mediatica, come lei stessa voleva per sensibilizzare l’opinione pubblica e ottenere la revisione giuridica delle leggi contro il suicidio assistito e l’eutanasia. Molti dei suoi colleghi medici si schierarono al suo fianco ammettendo che l’eutanasia era comunemente praticata. La dottoressa Postma venne ritenuta colpevole del reato di eutanasia, ma ebbe una condanna puramente simbolica: una settimana di carcere con la sospensione condizionale della pena, più un anno di libertà vigilata.



E questo fu l’inizio del processo di legalizzazione dell’eutanasia in Olanda, che da allora ebbe enorme diffusione, fino ad includere situazioni come il “caso Alkmaar”, di cui era protagonista una donna che aveva chiesto e ottenuto di morire perché l’età avanzata e le condizioni fisiche l’avevano costretta a dipendere da altri, portandola alla depressione. La Corte d’Appello dell’Aja riconobbe che la “sofferenza psichica” e il “potenziale deterioramento della personalità” sono un motivo valido per ottenere la morte indotta.

In altre occasioni i giudici assolsero i medici che avevano praticato il suicidio assistito in una giovane donna che soffriva di anoressia e in un’altra donna che era caduta in depressione dopo la morte dei suoi due figli e il fallimento del suo matrimonio.

Dopo il susseguirsi di analoghe situazioni, il 10 aprile 2001 il Parlamento olandese ha approvato con 46 sì contro 28 no la Riforma delle procedure per porre fine alla vita su richiesta e ha emendato il codice penale, affermando che i reati di eutanasia e di suicidio assistito non sono punibili, se sono “attuati da un medico che ha soddisfatto i requisiti di dovuta diligenza” descritti nella legge, e se è stato informato il “perito autoptico” municipale in conformità con la legge su Sepoltura e cremazione.

L’inserimento dei requisiti di “dovuta diligenza” ha trasformato i reati in trattamenti sanitari, come volevano i medici, anche per giustificare i loro interventi.

Sono passaggi che rievocano da vicino quanto sta succedendo in Italia, a cominciare dall’autoaccusa di Marco Cappato, al suo ritorno dalla Svizzera, dove aveva accompagnato Dj Fabo a morire mediante una vera e propria forma di eutanasia. Da questa denuncia hanno preso le mosse tutti i passaggi che dalla Corte d’Appello di Milano hanno condotto alla Corte costituzionale e dalla Corte costituzionale, con una procedura del tutto unica nel suo genere, sono poi rimbalzati sul Parlamento. Ma alla Camera c’è stato un vero e proprio flop e la situazione è entrata in fase di stallo, rimandando alla Corte costituzionale ogni iniziativa e ogni responsabilità.

Sembra che con un governo come quello che si è appena concluso, in perenne stato di fibrillazione per le tensioni tra M5s e Lega, il Parlamento non sia riuscito a trovare tempo e condizioni per elaborare una legge che correggesse quella sulle Disposizioni anticipate di trattamento, le Dat, rendendone impossibile una interpretazione in chiave eutanasica.

Il quesito posto dalla Corte costituzionale al Parlamento ruota intorno al primato della volontà del paziente come criterio orientatore di ogni altra scelta, compresa quella di morire. Una volta resa esplicita la volontà di Dj Fabo e la sua piena consapevolezza, Marco Cappato lo ha accompagnato in Svizzera, lasciando ben chiaro come il suo fosse solo un aiuto al compimento della volontà del paziente. E in piena coerenza con il pensiero e la prassi radicale, ha scelto la via dell’autodenuncia, ben convinto di non rischiare nulla e con l’unico scopo di favorire una interpretazione della legge sulle Dat, la 219/17, che spalancasse le porte al suicidio assistito, sulla base del principio di autodeterminazione che tanto ambiguamente viene utilizzato in alcuni casi e negato in altri.

Oggi in Olanda la percentuale di morti per iniezione letale raggiunge il 4,5%, come confermato dai dati recentemente pubblicati sul New England Journal of Medicine (Nejm), da cui si evince come molte persone muoiano anche senza il loro consenso. Il 10 marzo 2005 si poteva leggere sul Nejm: “Ventidue casi di eutanasia su neonati sono stati segnalati agli uffici dei procuratori distrettuali nel corso degli ultimi sette anni. Recentemente ci è stato permesso di esaminare questi casi. Si riferiscono tutti a bambini con forme molto gravi di spina bifida”. Per le 22 eutanasie “nessun medico è stato perseguito, poiché sono stati soddisfatti i requisiti di diligenza”. Ma tra i requisiti di diligenza il consenso informato non è più centrale e determinante, come emerge dall’ultimo caso salito agli onori della cronaca.

Il prossimo 11 settembre, infatti, si attende una sentenza, sempre in Olanda, in merito ad un caso in cui una dottoressa ha praticato l’eutanasia su una paziente di 74 anni affetta da demenza ed è stata accusata di non aver indagato sufficientemente sulla volontà ultima della paziente. La famiglia si è schierata dalla parte della dottoressa ma, anche se il tribunale accertasse la colpevolezza della donna, quest’ultima potrebbe non subire alcuna condanna.

Questi sono gli effetti non solo dell’approvazione di una legge, ma del cambio di mentalità introdotto nella pubblica opinione. La fragilità non è più il motore della solidarietà, ma una drammatica provocazione a sopprimere il malato, perché non soffra più. È una devastante interpretazione del principio di Pietas, perché se prima spingeva a prendersi cura del sofferente anche attraverso l’intero sistema socio-sanitario, oggi sceglie sbrigativamente di sopprimere il paziente per rendere meno dura e difficile la sua vita. Costa meno, è più veloce, riduce la fatica dell’assistenza per familiari e professionisti.

Da quando nel 1973 l’eutanasia è stata legalizzata, i medici olandesi sono passati dall’eutanasia ai malati terminali che la chiedono, ai malati cronici che la chiedono, alle persone disabili che la chiedono, ai mentalmente angosciati che la chiedono… E, ora, sono giunti anche alle persone anziane vulnerabili ed emarginate, anche se non la chiedono. È la nuova cultura della morte a cui questa legge apre la porta e se pure si inizia ribadendo come criterio ineludibile l’esplicito consenso del paziente, l’Olanda ci insegna che si tratta solo di un escamotage giuridico per facilitare l’approvazione della norma e aggirarla subito dopo.

Vorremmo sapere da subito, perché non c’è tempo, cosa farà il nuovo governo in un campo così delicato. Il precedente si è limitato ad attendere; non ha avuto il coraggio di decidere, ma non ci sfugge che nel nuovo governo siano molti i sostenitori di una legge schiettamente eutanasica, anche a prescindere dalla famosa ordinanza della Corte e questo ci impone una assoluta vigilanza, perché è troppo facile capire come la lezione olandese potrebbe fare da apripista anche in Italia, stravolgendo il senso comune e capovolgendo il significato di valori come la stessa Pietas.