REGIONE PUGLIA PUNTA A LEGGE SUL FINE VITA: LA PROPOSTA DEL PD

Siccome la situazione in Parlamento è ancora arenata per via dello scioglimento delle Camere, dopo le difficoltà negli ultimi mesi del Governo Draghi in Aula, la Regione Puglia gioca d’anticipo e intende portare la legge sul Fine Vita a livello regionale. Si tratta del primo caso in Italia di una potenziale legge regionale su un tema così delicato e politicamente divisivo: la “fuga in avanti” non viene affatto ben digerita dalla Chiesa locale che risponde punto su punto alla proposta partorita in Consiglio regionale dal primo firmatario Fabiano Amati (Pd). A Bari la maggioranza pro-Emiliano intende portare nel parlamentino la proposta di legge già prima della pausa estiva, con le prime votazioni tenutesi negli scorsi giorni: hanno votato contro Fratelli d’Italia e due consiglieri regionali del Pd, il M5s si è invece astenuto. Nello specifico, la proposta pugliese prevede l’assistenza sanitaria per la morte serena e indolore di pazienti terminali.



La proposta è stata approvata in Commissione regionale, sotto la voce dei promotori, e assorbe il dettato della sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019 (Cappato-Dj Fabo): richiama il «dovere del servizio sanitario pubblico, gestito dalle regioni, di prestare l’assistenza e l’aiuto necessari “per una morte dolce e serena” ai malati terminali o cronici, affetti da patologie irreversibili, tenuti in vita con trattamenti di sostegno vitale, e che si trovino in condizione di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili». Nei fatti, si tratta dell’accesso all’eutanasia consentita per legge, fatto salvo per il diritto all’obiezione di coscienza che rimarrebbe secondo la proposta di legge pugliese: così come l’accesso al Fine Vita avverrebbe solo se chi è in fin di vita «sia consapevole e abbia espresso autonomamente e liberamente la propria volontà». Secondo il primo firmatario Amati, «Si può garantire anche con legge regionale il congedo dalla vita senza dover subire il medesimo destino aggravato da un processo più lento e doloroso per se e per le persone care». Non solo, per il rappresentante del Pd pugliese, «introduciamo norme coerenti con la sentenza della Corte costituzionale di tre anni fa ritenuta dal ministero della Salute autoapplicativa e fonte di obblighi esecutivi a carico delle regioni».



LA REPLICA DELLA CHIESA PUGLIESE: “MALATI VANNO ASSISTITI!”

La Puglia sul Fine Vita vuole fungere da “apripista” per altri interventi di altre Regioni, in modo da poter “spingere” il prossimo Parlamento a legiferare quanto la Corte Costituzionale ripete da ormai 3 anni: «Siamo ben consapevoli della sensibilità e della delicatezza del tema che è di drammatica attualità e poiché riguarda la sacralità della vita necessita di un percorso accurato da parte del legislatore, in un ampio confronto parlamentare che rappresenti il Paese e le reali necessità dei suoi cittadini, scevro da logiche di parte e possibili strumentalizzazioni», è la nota diffusa negli scorsi giorni dalla Conferenza episcopale pugliese guidata dal presidente Donato Negro (arcivescovo di Otranto) e dal vicepresidente Michele Seccia (metropolita di Lecce. La legge presentata da Regione Puglia è tutt’altro che ben accetta dalla Chiesa locale: «Ogni cittadino ha, al di sopra dei diversi iusgarantiti, quello che si può riassumere nello ius vitae, ovvero la tutela da ogni attentato contro la vita e la garanzia che la Comunità se ne prenda cura, non ricorrendo a formule parziali quando non vi riesca».



Ogni tentativo di “normare” e “normalizzare” il Fine Vita, spiegano i vescovi, che avviene «senza aver posto in atto le opportune garanzie di assistenza e ausilio non è confacente con il rispetto della persona». Il punto chiave è proprio riguardante al tema delle cure: «Fermo restando che il malato, in qualunque stato della propria patologia si trovi, vada difeso, accolto, assistito e accompagnato, registriamo, purtroppo, che cure palliative e sedazione del dolore, esigenze ineludibili che dovrebbero essere fruibili in ambiti ospedalieri, territoriali e domiciliari, non trovano ancora questa diffusione». La Chiesa pugliese fa riferimento alla legge 38 del 2010 sulle cure palliative: sono 12 anni passati in cui ancora quanto richiesto per legge avviene molto di rado, «Esortiamo, quindi, ad una prudenziale valutazione della realtà senza assolvere le inadempienze finora registrate con percorsi legislativi di ripiego – è il richiamo finale dei vescovi pugliesi – che rischiano di non essere rimedi efficaci a livello scientifico e umano».