EUTANASIA, RIBALTATA LA SENTENZA CAPPATO-DJ FABO DELLA CONSULTA: CONDANNATO IL PRESIDENTE DI EXIT
A Catania è stato condannato lo scorso 28 giugno il presidente dell’associazione Exit-Italia, Emilio Coveri, per “istigazione al suicidio” nel ricorso all’eutanasia nel 2019 in Svizzera di una 47enne catanese (Alessandra Giordano). In questo modo, sottolineano oggi diversi quotidiani nazionali, è stata “ribaltata” la sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Marco Cappato per il suicidio assistito (sempre in Svizzera) di Dj Fabo-Fabiano Antoniani.
La terza sezione della Corte d’assise d’Appello di Catania non ha considerato il caso di Coveri alla stessa stregua di Cappato e così è arrivata la condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione per il presidente dell’associazione che persegue nel suo status l’eutanasia come «diritto a decidere per se stessi». La sentenza giunta ieri riforma quella di assoluzione emessa in primo grado il 10 novembre del 2021, con la formula “perché il fatto non sussiste”, dal gup Marina Rizza a conclusione del processo celebrato col rito abbreviato.
SUICIDIO ASSISTITO, PERCHÈ È STATO CONDANNATO EMILIO COVERI (PRES. EXIT ITALIA)
Contro la decisione di assoluzione in primo grado avevano presentato diretto ricorso il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Andrea Brugaletta: la Corte di Catania ha disposto l’accoglimento del ricorso e la conseguente condanna, nonostante la sentenza della Consulta abbia assolto nel 2019 Marco Cappato dopo aver accompagnato alla morte assistita tramite eutanasia in una clinica in Svizzera. Emilio Coveri da anni segue tanti casi simile di persone malate e richiedenti il suicidio assistito.
Il caso nasce il 27 marzo del 2019 quando Alessandra Giordano, che non era malata terminale bensì sofferente di depressione della sindrome di Eagle, si è iscritta all’associazione Exit. Stando alla tesi della Procura accolta ieri dalla Corte d’assise, «Coveri ha fornito un contributo causale idoneo a rafforzare un proposito suicidario prima incerto e titubante su una persona affetta da patologie non irreversibili benché dolorose, anche perché non ben curate, sfruttando l’influenzabilità della donna per inculcare le sue discutibili idee di suicidio assistito come soluzione alle sofferenze fisiche e morali della vita». Questo è dunque il motivo per cui non è scattata la motivazione che ha spinto la Consulta ad assolvere Cappato: secondo l’accusa di Catania, «la scelta individuale, assunta in piena autonomia deve essere rispettata, ma bisogna valutare se noi riteniamo che sia lecito proporre alle persone che non versano in condizioni di patologia irreversibile, magari soltanto depresse, il suicidio come unico rimedio ai propri mali», riporta la Procura di Catania.
COSA DICE COVERI: LA POSIZIONE DI EXIT ITALIA SULL’EUTANASIA
La difesa di Coveri ha invece sempre sostenuto che la signora «era una nostra associata e le abbiamo semplicemente fornito, su sua richiesta, le informazioni che le servivano per prendere una decisione. Una procedura normale». In un post su Facebook al termine della sentenza è lo stesso Coveri a lamentare il ribaltamento del processo: «Da parte mia, Emilio Coveri, accetto in toto questo verdetto della Corte di Appello di Catania in quanto sono più che convinto che le sentenze devono, ripeto devono essere accettate anche per il rispetto di quell’organo costituzionale che è la Magistratura».
Coveri si dice fiducioso nella giustizia e ritiene che dopo il ricorso in Cassazione, la verità verrà dimostrata «e la giustizia trionferà proprio perché il Presidente della EXIT-Italia ha sempre condotto una linea talmente trasparente e ligia alle norme statutarie associative per primo e dopo perché l’onestà sia del Presidente e dell’associazione sono sempre stati alla base dell’operato. Riteniamo che ci sia stato un grave errore di valutazione in questa sentenza e ciò che fa più male è che non hanno creduto a quanto affermato dai nostri legali sull’innocenza rispetto all’incriminazione. Attendiamo quindi la motivazione che dovrebbe arrivare tra una quindicina di giorni dopodichè prenderemo tutti gli accorgimenti del caso per difendere tutti noi con il ricorso in Cassazione».