EUTANASIA, IL RISCHIO CHE AVANZA IN EUROPA: LA DENUNCIA DEL BIOETICISTA HIRSCH
Mentre prosegue in Francia il dibattito pubblico sulla potenziale prossima nuova legge di “legittimazione” sempre più ampia dell’eutanasia, non si fermano i tentativi anche della stessa scienza e medicina di far sentire la voce meno “apprezzata” dall’opinione pubblica schierata per la “dolce morte”. Intervistato dall’Avvenire, parla Emmanuel Hirsch, fra i protagonisti della riflessione bioetica francese: «il dibattito pubblico sul fine vita dovrebbe vertere innanzitutto sulla vitae sulla dignità dell’esistenza, non sulle condizioni di una morte anticipata».
L’invito che arriva dal medico e bioeticista – così come ribadito nelle scorse settimane dall’Ordine dei medici francese che si è rifiutato di sostenere un progetto di legge in grado ai allargare le maglie dell’eutanasia – è quello di rinnovare l’impegno di cura per i più vulnerabili, per quegli “ultimi” che non trovando risposte invocano alle volte la fine anticipata della loro esistenza: «Da parte degli attori istituzionali, c’è l’obbligo morale di rispettare la persona come un essere che è in vita. Il dovere d’umanità si fonda sul principio di non abbandonare nessuno». Invece nel dibattito attuale, tanto in Francia quanto nel resto dell’Europa, «s’insinua un dubbio sulla dignità dell’esistenza di certe persone. Osserviamo una deriva verso l’idea che ci sarebbero vite non degne d’essere vissute. Certe situazioni di sofferenza assolutamente insormontabile, è vero, possono giustificare approcci specifici contemplati anche per legge. Ma non un’assistenza medica fondata sul far morire».
HIRSCH: “ALCUNI RESISTONO ALL’EUTANASIA E ALL’ABBANDONO, MAI CEDERE”
Avanza in Europa quello che Hirsch chiama «uno sguardo» che spinge a considerare sempre più “inutili” alla vita i vulnerabili, i più malati: «La buona morte non esiste in sé, in modo distinto. Conta invece completare la propria vita con l’impressione d’essere riconosciuti fino all’ultimo, come persone in vita e membri di una società. La volontà di legiferare in questo campo significa voler imporre delle norme. Eppure, il compito di ciascuno non è di fare della propria morte un capolavoro ma di giungere al termine di un’esistenza che è sempre singolare e non riconducibile a determinate norme che ci verrebbero imposte». E così che i vulnerabili, sottolinea ancora il bioeticista francese, «vengono spesso considerati socialmente inutili», ma in questo modo «cominciamo a costruire un quadro normativo della vita non più degna d’essere vissuta».
La cultura della morte nasce proprio così, con alcuni che vengono così “spinti” a preferire la morte ad una sopravvivenza compassionevole: «La società dovrebbe far posto a una diversità di maniere di vivere. Per questo è vano pensare che una legge possa rispondere da sola a situazioni umane in realtà sempre singolari e irriducibili a categorie». Lo sviluppo delle cure palliative e la crescita di strumenti, anche normativi, per garantire sostegno e cura continua ai più vulnerabili: «Come ha ricordato di recente l’Ordine dei medici francesi, c’è una tradizione medica e ci sono testi internazionali molto chiari. Per un medico, contribuire a un atto letale non corrisponde né alla sua missione né alle sue funzioni, né ai suoi valori». Nel quadro piuttosto “tetro” delineato dal bioeticista Hirsch, una luce è rappresentata dai tanti che non si arrendono alla cultura dell’eutanasia e della “dolce morte”: «alcuni si muovono e si oppongono all’abbandonismo, per fortuna ancora numerosi. Nel mondo delle cure palliati- ve tanti sono mossi da una profonda coerenza di pensiero. Sono persone che spargono semi fecondi, anche prendendo la parola. Pure il mondo associativo è spesso ammirevole nella sua capacità d’accompagnare i vulnerabili. Tutte queste persone resistono, comprendendo che è in gioco ogni giorno la nostra stessa visione dell’umanità e della democrazia».