LA LEGGE SULL’EUTANASIA SBARCA IN PARLAMENTO UK MA IL GOVERNO LABOUR È GIÀ NEL CAOS

Alla vigilia dello ‘sbarco’ in Parlamento a Londra del nuovo disegno di legge sull’eutanasia in UK, lo scontro ai vertici del Governo Labour allarga ancora di più la crisi politica e di consensi che da qualche mese è piombata sull’esecutivo Starmer, pur dopo il bagno di voti alle Elezioni Politiche prima dell’estate. Gordon Brown, ex Premier laburista tra il 2007 e il 2010, è del tutto contrario all’impalcatura del “Terminally Ill Adults Bill”, testo a prima firma della sorella di Jo Cox (Kim Leadbeater), la deputata barbaramente uccisa alla vigilia del Referendum Brexit nel 2016. «La discussione è andata avanti troppo in fretta», lamenta l’ex Premier Labour che apertamente critica l’operato del suo stesso partito e, inevitabilmente, del Premier Keir Starmer.



Dopo aver lasciato libertà di voto sul provvedimento, il caos è letteralmente esploso a Downing Street con la spaccatura interna della sinistra inglese che vede da un lato Brown e il Ministro della Sanità Wes Streeting (con anche la titolare della Giustizia Mahmood) contro il progetto di legge sull’eutanasia, dall’altro invece buona parte del Governo e soprattutto il Premier laburista sostengono la legge firmata da Leadbeater. È tutt’altro che scontato l’esito del disegno di legge in quanto se bocciato potrebbe tramutarsi in un altro “schiaffo” politico alla maggioranza di Starmer sempre più in bilico e in caduta nei sondaggi. Esattamente come avviene in Italia, anche in Regno Unito parlare di eutanasia e suicidio assistito divide tutto, dalla politica all’opinione pubblica. In termini pratici, se la legge sull’eutanasia fosse approvata dal Parlamento di Westminster consentirebbe a tutte le persone maggiorenni affette da malattie terminali, con aspettativa di vita sotto i 6 mesi, di richiedere e ottenere il suicidio assistito di Stato.



L’EX PREMIER SOCIALISTA GORDON BROWN: “SONO CONTRO L’EUTANASIA DOPO AVER ASSISTITO MIA FIGLIA. HO CAPITO CHE…”

Il tema posto da Gordon Brown, in maniera inusuale per la politica specie su temi così delicati, è prima di tutto personale: quando nel 2001 il padre nobile del Partito Laburista con la moglie Sarah ebbero una piccola bimba di nome Jennifer iniziò un trauma concluso nell’esperienza più triste per un genitore, ovvero la perdita della propria stessa carne. Appena 4 giorni dopo la nascita i medici si resero conto che la figlia di Brown soffrì di una grave forma di emorragia cerebrale: parte da qui l’intervista al “Guardian” che ha aumentato le divisioni interne al Labour sulla legge per l’eutanasia.



Come infatti spiega alla giornalista l’ex n.1 a Downing Street, lui e la moglie «Eravamo pienamente consapevoli che tutte le speranze erano svanite», eppure in quello star vicino alla piccolissima figlia, poterle tenere la mano e assisterla nel suo brevissimo viaggio su questa terra, ha fatto scattare qualcosa in Gordon Brown tanto che da allora la sua convinta fede progressista vacillò. La bimba è morta a 11 giorni di età tra le braccia di mamma e papà: a distanza di 13 anni, quei giorni restano però «i più preziosi nella vita mia e di Sarah». Secondo Brown l’esperienza di poter star vicino alla bimba malata terminale lo ha convinto che il tema del suicidio assistito non sia l’opzione primaria né quella più “umana” possibile, «mi ha convinto del valore e dell’imperativo di avere una buona cura per il fine-vita».

Gordon Brown in sostanza assume come elemento chiave nel dibattito sul fine vita non la legalizzazione dell’eutanasia, di un suicidio assistito di Stato, bensì al contrario una migliore strategia atta a sviluppare sempre più le cure palliative. Parte della sinistra inglese è invece contraria e ritiene che le pressioni fatte da mesi dalla Chiesa Cattolica, da quella Anglicana e da numerose associazioni medico-sanitarie siano fallaci in quanto l’eutanasia sarebbe invece la migliore risposta di pietà umana per accompagnare (o meglio, per “dare”) la morte ai malati terminali. Secondo l’ex Premier Brown invece – ed è importante la sua visione in quanto del tutto lontano dall’esperienza religiosa o di una destra più conservatrice – adottare questo dispositivo di legge sull’eutanasia modificherebbe in senso negativo l’atteggiamento della società Uk nei confronti dei malati, degli anziani, e anche dei disabili, «anche se solo in modo subliminale». Poco prima delle dimissioni recentissime, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby aveva sentenziato contro la proposta sull’eutanasia spiegando tutte le derive pericolose che avrebbe portato quel testo, trasformando un potenziale diritto sul fine vita ad un quasi “dovere” da imporre a chi si ritrova malato terminale o anche solo “grave” nei suoi ultimi mesi di esistenza.