Uno studio pubblicato nel 2022 dalla dottoressa Jennifer L. Gaudiani aveva suggerito l’introduzione nella medicina del termine “anoressia nervosa terminale“, sottolineando che per questi pazienti, che lei stessa definisce rari, una soluzione praticabile era l’eutanasia. Allo stato attuale, inoltre, l’accompagnamento alla morte è già previsto per diverse malattie mentali, ma in nessuno stato si fa esplicitamente riferimento ai disturbi alimentari tra questi.
Nello studio sull’anoressia terminale e l’eutanasia la dottoressa aveva spiegato che questa etichetta riguarderebbe l’ultimissimo stadio della malattia, in cui il paziente sta attraversando la distruzione dei suoi organi e rifiuta ogni tipologia di cura. Per essere riconosciuti come terminali, infatti, i pazienti diagnosticati dovevano avere almeno 30 anni ed aver ricevuto cure “di alta qualità”, oltre ad essere in grado di dimostrare la sua capacità decisionale. L’eutanasia, nel caso dell’anoressia terminale, secondo la dottoressa, potrebbe essere una fine migliore per il paziente che, altrimenti, si lascerebbe comunque morire per malnutrizione, probabilmente tra atroci sofferenze, o opterebbe per il suicidio. Per tutti gli altri anoressici (anche se nell’etichetta di “nervosi”) e per i pazienti con disturbi dell’alimentazione, l’accompagnamento dalla vita, secondo la dottoressa, non dovrebbe essere considerato.
Le critiche allo studio sull’anoressia terminale e l’eutanasia
Allo studio della dottoressa Guardiani sull’eutanasia per l’anoressia terminale, però, sono seguite in tutto il mondo numerose critiche da parte di ricercatori, terapeuti, operatori sanitari, organizzazioni associative, famiglie e altri membri della comunità che si occupa di disturbi alimentari. La maggiore critica era legata al fatto che i casi studio presentati nell’articolo non avevano ricevuto le necessarie cure, o convivevano con altri disturbi o, ancora, vivevano in contesti problematici.
Secondo la dottoressa Westmoreland, invece, lo studio sull’eutanasia e l’anoressia tralasciava il fatto che “i pazienti possono guarire più di 20 anni dopo la diagnosi“, pur riconoscendo che non si era ancora trovata “una definizione unificata di guarigione”. Similmente, altri critici ritengono che non si possa convenire sull’etichetta di “terminale”, perché la malattia di per sé, e i disturbi alimentari in generale, offuscano la percezione del paziente, facendolo sentire in fin di vita seppur, in realtà, alcuni giorni dopo potrebbe decidere di sottoporsi alle cure. Piuttosto che consigliare l’eutanasia per l’anoressia, secondo i critici della dottoressa Guardiani, sarebbe meglio lavorare a terapia meno invasive e ad un accompagnamento psicologico, e psichiatrico, per i pazienti.