Come spesso accade nelle nostre giornate, le belle notizie si intrecciano con quelle che non lo sono affatto, ma sono le prime che ci spingono a cercare un punto di equilibrio chiaro e forte che confermi la nostra speranza nei valori umani più profondi e più radicati, a cominciare dalla vita.

Per quanto possa apparire paradossale, una storia davvero bella è quella di Stefano Gheller, affetto da distrofia muscolare progressiva, che a 47 anni decide di ricorrere al suicidio assistito: nella sua vita tutto sembra andare storto. Alla malattia si aggiunge un fatto che lo turba profondamente. Mentre è in casa, da solo, in evidenti condizioni di inferiorità, entrano dei ladri che gli danno la misura estrema della sua fragilità; capisce che non può difendersi, che la sua vita è appesa ad un filo. E allora, sopraffatto dal timore e dalla solitudine, decide di riprendere in mano il controllo della sua malattia nell’unico modo che in quel momento gli sembra possibile. Sceglie di morire ricorrendo all’eutanasia, seguendo la strada che in modo martellante i media rilanciano ogni giorno in mille modi diversi. La vicenda di Dj Fabo è raccontata infatti come quello di un eroe che decide liberamente di consegnarsi alla morte davanti ad una vita che appare invivibile. L’epica della morte che pone fine alla sofferenza diventa il leitmotive di tante trasmissioni televisive, di articoli a tutta pagina: perché soffrire, quando puoi scegliere di morire.



Il Parlamento gli fa eco con la brutta legge sulle Dat, in cui la volontà del paziente è sovrana, qualsiasi cosa decida. La storia di Fabo riecheggia in tv, sul web, sulle prime pagine dei giornali come quella di un uomo forte, nonostante la sua fragilità: un uomo che sa andare controcorrente, sfidando la legge e che per questo si avvale della collaborazione di Marco Cappato. Un radicale che, come tanti altri radicali, ha fatto della battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia una battaglia di libertà e di civiltà.



Difficile per Stefano, ferito dalla malattia, umiliato dal furto, resistere ad una pressione mediatica così forte. Se soffre tanto per una malattia che gli sottrae ogni giorno un po’ più di autonomia, se si sente solo, triste, depresso, non è vero che non ha alternative. C’è sempre la clinica “Dignitas”, la stessa di Dj Fabo, che gli consentirebbe di porre fine alla sua vita di dolore costante, fisico e morale: un’eutanasia a tutti gli effetti, con l’approvazione di chi vede in quella scelta la massima forma di libertà. E in quei giorni sembrava che tutti la pensassero così: meglio morire che soffrire.



Ma Stefano ad un certo punto cambia idea, riscopre la bellezza della sua vita, nonostante le indubbie limitazioni imposte dalla malattia. E annuncia di voler andare a New York: scopre che ci sono desideri che può ancora realizzare e che ha più amici di quanto non crede: amici disponibili a stare con lui, ad aiutarlo, a condividere sogni e illusioni.

Di fatto è lui il vero rivoluzionario: l’uomo controcorrente, che resiste ad un pensiero dominante, quello del politicamente corretto, che sembra ancorato ad una volontà di morte come affermazione di libertà. Stefano scopre il valore della solidarietà, si rende conto che c’è gente che crede nel bene comune e che considera il “suo” bene come proprio. Gente che ha voglia di andarlo a trovare; che lo invita a cena, a fare una passeggiata, a cinema e a teatro.

Gente che gli ricorda che la vita ha in serbo per lui ancora tante cose belle e buone. Cose piccole e cose che lo sono meno, per cui riesce ad esprimere tre desideri, come se una misteriosa lampada di Aladino fosse spuntata nel salotto di casa sua e qualcuno l’avesse sfregata per lui: dice di voler visitare New York, conoscere Madonna, e andare all’Arena di Verona a un concerto di Marco Masini.

Sono cose possibili. Non sono la guarigione, ma sono già parte della cura, perché Stefano ha ricominciato a progettare la sua vita, cercando e trovando un perché. L’arte di desiderare come strumento prodigioso di cura; qualcosa che ribalta quel male oscuro che si impossessa dell’anima di chi decide di morire perché non ha più nulla da desiderare e da sperare.

Ma il miracolo di Stefano è maturato in un humus fatto di relazioni umane significative, che piano piano hanno scaldato la sua anima, esorcizzato la paura della solitudine e prestato energia nuova, calda di affetto e di condivisione. Niente a che vedere con quella drammatica esperienza di chi, pensando di non farcela, si affida a chi di fatto lo aiuta a porre fine alla sua vita, invece di mostrargliene i risvolti positivi, che pur sempre ci sono.

Stefano non vuole morire, nonostante sappia che verrà la morte e porrà fine alla sua sofferenza, ma porrà fine anche alla sua capacità di sognare ad occhi aperti un incontro con Madonna. Non con la Madonna, ma con Madonna, cantante vitale e sensuale, piena di contraddizioni e di illusioni: chissà se riuscirà ad incontrarla a News York; ma certamente se Madonna sapesse lo incontrerebbe, anche solo per capire come lei stessa abbia potuto essere parte di questa metamorfosi radicale, che ha restituito alla volontà di vivere il primato sulla volontà di morte.

E il desiderio, la capacità di coltivare desideri, di aiutare i pazienti ad avere desideri, a continuare a sognare ad occhi aperti, diventa parte integrante del programma di cure palliative, quello stesso programma che perfino la recente sentenza della Corte Costituzionale ha preteso che venisse applicato prima di permettere al paziente di accedere al suicidio assistito.

Dispiace ancor più, in questo clima, che la Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) nella sua ultima seduta si sia limitata a recepire la sentenza della Corte, senza rilanciare, proprio sul piano della cura, l’importanza di una psicoterapia centrata sulla capacità di coltivare desideri e di sperare di realizzarli, per illusori che possano sembrare. Stefano ha scoperto che si può continuare a sognare ad occhi aperti, che vale la pena vivere se ci sono amici con cui condividere questi stessi sogni.

Si desidera morire, anticipando la propria morte, solo quando si è persa la capacità di sperare, quando non si riesce più a condividere la propria vita, quando vengono meno anche i desideri più minuti.