La Corte europea dei diritti umani è chiamata domani a decidere su un caso che si trascina da un decennio, quello della morte di una donna belga di 64 anni, Godelieva de Troyer, morta con l’uso dell’eutanasia. La donna non soffriva, come prevede la legge belga sull’eutanasia, di alcuna malattia incurabile, ma di depressione. Sofferente di disturbi mentali per circa un ventennio nonostante fosse stata in cura presso diversi psichiatri, la donna si mise in contatto con la società sostenitrice dell’eutanasia e dopo aver discusso con un medico, specializzato in cura del cancro, ottenne da questi la possibilità di morire. Il medico però non seguì il percorso previsto dalla legge, consultare i familiari e specialisti psicologi, e comunque l’eutanasia causata dalla depressione non è riconosciuta dalla legge. Il figlio Tom Mortier ha portato il caso davanti alla Corte europea per i diritti umani, in un caso destinato a fare giurisprudenza, “Tom Mortier contro il Belgio” in quanto sotto accusa è il sistema legislativo del suo paese intero, non il medico e basta: Mortier afferma che il Belgio ha violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo per non aver protetto adeguatamente il diritto alla vita di sua madre, che ha sofferto gravi difficoltà mentali e ha affrontato la depressione per tutta la vita. “Mia madre soffriva di gravi difficoltà mentali e ha affrontato la depressione per tutta la vita. È stata curata per anni da psichiatri e, purtroppo, io e lei abbiamo perso i contatti per un po’ di tempo. Fu durante questo periodo che morì per iniezione letale, ha detto Tom Mortier.



“Il grosso problema nella nostra società è che apparentemente abbiamo perso il significato di prenderci cura l’uno dell’altro”, ha continuato Mortier. Il caso mette bene in evidenza come nessuna legge per l’eutanasia, nonostante quanto dichiarino i suoi sostenitori e le leggi stesse, sia in grado di salvaguardare le persone né hanno la possibilità di mettere paletti e mettere in sicurezza chi si rivolge per avere il fine vita. “In Europa e negli Stati Uniti, l’introduzione del relativismo e del soggettivismo morale ha completamente cambiato la professione del medico” ha commentato Vincent Kemme, fondatore dell’organizzazione belga di bioetica Biofides. “Accogliamo con favore la decisione della Corte di esaminare questo importante caso sul diritto alla vita, in particolare per quanto riguarda i più vulnerabili della società. Il diritto internazionale non ha mai stabilito un cosiddetto “diritto alla morte”. Al contrario, afferma fermamente il diritto alla vita, in particolare per i più vulnerabili tra noi. Uno sguardo ai tristi fatti di questo caso svela la menzogna secondo cui l’eutanasia fa bene agli individui, alle famiglie o alla società”, ha affermato Robert Clarke, vicedirettore internazionale dell’ADF, che rappresenta Tom Mortier davanti alla Corte. La terribile ironia del caso in questione è che il medico che ha soppresso la donna è anche  co-presidente della Commissione federale incaricata di approvare i casi di eutanasia a posteriori, cioè coloro che dovrebbero giudicare se una persona può o meno morire.

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