Non c’è solo il Qatargate da affrontare per Eva Kaili. L’ex vicepresidente del Parlamento europeo è infatti coinvolta in un’indagine penale separata relativa a presunti pagamenti fraudolenti che hanno coinvolto quattro ex assistenti dal 2014 al 2020. Lo rivela Politico, che ha visionato documenti riguardanti questa indagine che ha messo nel mirino la politica greca. In particolare, la vicenda riguarda tre potenziali attività fraudolente. L’obiettivo è capire se ha ingannato il Parlamento Ue sulla posizione e sulle attività lavorative dei suoi assistenti, se ha preso una parte dei loro rimborsi per viaggi di lavoro “falsi” che sono stati organizzati e se ha intascato tangenti da una parte dei loro stipendi. Ciò è quanto appreso dal Politico attraverso una lettera inviata dalla Procura europea (EPPO) alla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.



In questa indagine è coinvolto un altro legislatore greco dell’Ue, Maria Spyraki, accusata dagli inquirenti di aver ingannato l’istituzione sulle attività dei suoi assistenti e di aver detto loro di presentare spese per falsi viaggi di lavoro. Ma nei documenti non si afferma che Spyraki abbia preso rimborsi dagli stipendi o falsi rimborsi. In totale, secondo una persona che ha familiarità con il caso, Kaili deve al Parlamento europeo circa 100mila euro.



“FORTI SOSPETTI SU FRODI E GRAVI IRREGOLARITÀ”

L’attenzione si sposta, dunque, dal Qatargate ad un caso di frode. I deputati della commissione Affari legali del Parlamento europeo hanno discusso martedì scorso per la prima volta a porte chiuse del caso riguardante Eva Kaili, la quale dal canto suo ora si trova agli arresti domiciliari e sta lottando contro la richiesta del procuratore di toglierle l’immunità, privilegio concesso ai legislatori dell’Ue. L’ufficio del procuratore dell’Ue, che indaga sulle frodi criminali legate ai fondi europei, ha sostenuto che anche la sua indagine poggia su basi solide. “L’indagine in corso continua a sollevare forti sospetti di frodi ripetute e/o altre gravi irregolarità“, scrive il procuratore capo europeo Laura Kövesi nella lettera visionata da Politico e inviata al Parlamento a dicembre, in cui si chiedeva di togliere l’immunità sia a Kaili che a Spyraki. Se la Procura europea ha preferito non commentare la vicenda, Kaili invece tramite un suo legale ha fatto sapere a Politico di aver promesso di restituire qualsiasi somma dovuta e di attenersi a qualsiasi raccomandazione. Invece, Spyraki ha dichiarato che il suo caso non ha nulla a che fare con Kaili e ha confermato di non essere mai stata accusata di aver preso tangenti. “Non ho alcuna controversia sul bilancio in base alla mia responsabilità di supervisore. Ho già pagato l’importo corrispondente e ho già chiesto ai servizi di rivalutare il mio caso dal punto di vista finanziario“.



COSA STA ESAMINANDO LA PROCURA EUROPEA

Dalla lettera visionata da Politico emerge che l’indagine della Procura europea sta esaminando sia Eva Kaili che Maria Spyraki per le irregolarità riguardanti la “presenza fisica sul luogo di lavoro” dei loro assistenti e “le relative decisioni del Parlamento europeo sull’orario di lavoro“. Un altro filone d’indagine è quello delle “false missioni, della presentazione di falsi documenti giustificativi e delle indebite richieste di rimborso per le spese di missione da parte degli APA (acronimo di assistente parlamentare accreditato, ndr) su richiesta delle signore Kaili e Spyraki“. Kaili, in particolare, è anche sotto inchiesta per aver ricevuto “rimborsi” dagli stipendi dei suoi assistenti e tramite le spese falsificate. L’indagine del pm fa seguito a un’inchiesta dell’ufficio antifrode dell’Ue, noto come OLAF, che si è conclusa il 23 novembre dello scorso anno. L’OLAF ha poi trasferito il caso all’EPPO. L’avvocato Spyros Pappas, legale di Eva Kaili, ha spiegato che di solito questi casi di frode vengono chiusi dopo che l’OLAF ha completato la sua indagine e il legislatore paga tutto ciò che l’ufficio ritiene sia dovuto, inoltre si chiede come i funzionari possano giustificare la revoca dell’immunità per azioni che risalgono al 2014. “Non si può non mettere in dubbio sia la legalità che l’opportunità dell’iniziativa intrapresa dall’EPPO. La risposta può essere data solo dal Tribunale di giustizia dell’UE“, ha affermato.