Pochi soldi, ragazzi trascurati, un problema “minorile” non solo per l’età. È questo il quadro degli istituti di pena per ragazzi minorenni, a cui si aggiunge la lentezza estenuante dei processi, tanto che, come ci ha spiegato in questa intervista don Claudio Burgiocappellano del carcere minorile di Milano Beccaria e fondatore della comunità di accoglienza Kayròs, “compiono reati quando sono ancora minorenni e vengono condannati quando hanno ormai anche 19 o 20 anni, per cui vengono trasferiti direttamente in strutture per adulti”.



In questo contesto di vergognosa trascuratezza, si è consumata “la fuga di Natale” di sette ragazzi (cinque italiani, un ecuadoriano e un marocchino) del carcere minorile Beccaria di Milano. Un piano concordato con abilità e ingegno. Si trovavano nel campo di calcio, il personale era ridotto di numero per via della festività natalizia e si sono dati alla fuga approfittando di alcune impalcature di un cantiere che da anni è sull’esterno delle mura.



Uno addirittura si è calato con un lenzuolo da una finestra, come nei vecchi film. Mentre succedeva questo, gli altri detenuti hanno dato fuoco ad alcuni materassi, incendio domato in pochi minuti ma che ha costretto al ricovero quattro agenti per intossicazione. Uno dei ragazzi è stato ripreso quasi subito, due sono stati convinti dai familiari a tornare al carcere, 3 sono ancora a piede libero. Il Beccaria, una volta modello educativo e di recupero, oggi è allo sfascio, ci dice ancora don Burgio: “Sono vent’anni che manca un direttore fisso, cosa che impedisce ogni percorso di recupero ed educativo in modo continuativo”.



Lei conosceva i ragazzi che si sono dati alla fuga il giorno di Natale?

Sì, li conosco, sono ragazzi che a più riprese sono andati e tornati in carcere. Erano tutti detenuti di cui ci si poteva aspettare una fuga, o che avevano un loro motivo per tentarla. Altri più ragionevoli e maturi non l’hanno fatto.

Cosa significa “avere un motivo” per scappare? In che senso?

Si tratta di ragazzi che non hanno più niente da perdere perché hanno condanne già definitive. C’è un minorenne arrivato in Italia non accompagnato che conosce poco la nostra lingua e ancora non ha capito quale sarà il futuro della sua vicenda. Sicuramente sta cercando di andare all’estero.

Minorenni con una condanna definitiva?

Sono ragazzi che hanno commesso reati da minorenni ma nel frattempo le vicende processuali sono diventate così lunghe che hanno raggiunto la maggiore età.

Non è molto bello che un minorenne debba diventare maggiorenne in carcere, senza permettergli un recupero degno della sua età e dandogli come unico percorso una struttura per adulti, no?

Non lo è. Va detto che sono casi di ragazzi che non hanno accettato alcun percorso o hanno fallito nei percorsi esterni, che sono scappati dalle comunità riapprodando così al Beccaria.

Mentre i sette fuggivano gli altri hanno dato fuoco ai materassi. Perché? E come è stata gestita la protesta?

Come sempre avviene tra ragazzi, quando ci sono certi episodi eclatanti anche gli altri in qualche modo devono farsi vedere protagonisti negativi. Si è trattato di una piccola sommossa gestita in un quarto d’ora, anche se alcuni agenti sono rimasti contusi.

Il Beccaria purtroppo è all’onore delle cronache per episodi ben più gravi di questo. Lo scorso agosto un ragazzo è stato violentato e seviziato in una cella da tre compagni. Questo ci dice di un ambiente profondamente disagiato.

Il carcere è un dispositivo totalitario perché sopprime la libertà della persona. Come tale per sua stessa natura è violento. La violenza per quanto controllata purtroppo è dentro il sistema di un ambiente così. Gli episodi sono tanti, non solo al Beccaria. Come cappellano sono in contatto con i cappellani di tutta Italia ed episodi come questo si ripetono ovunque. Anche il cardinale Zuppi si è interessato alla situazione, chiedendo come possa rendersi utile.

La mancanza di un direttore fisso ormai da un ventennio come incide su tutto questo?

Incide parecchio sui progetti educativi. Che non ci sia da tanto tempo una direzione stabile rende i progetti educativi incerti. Non c’è una regia e di conseguenza questo impedisce di riprendere quel “modello Beccaria” che un tempo si era dimostrato tanto utile e di successo.

La mancanza di un direttore a cosa è attribuibile? Burocrazia?

È un problema di soldi. Fortunatamente adesso è stato fatto un concorso, il primo da anni, e a settembre dovrebbe arrivare il tanto atteso nuovo direttore.

Per tornare a quel modello-Beccaria che ci diceva, che cosa occorre fare?

Occorrono investimenti da parte del ministero. A volte si ha la sensazione che i diritti dei minorenni siano minori in tutti i sensi, che vengano cioè trascurati. Come nel mondo della scuola bisogna investire in un’ottica preventiva, tanto più questo è vero in un carcere, dove la sofferenza è altissima. Ci vogliono figure di educatori, agenti stabili perché anche loro vanno e vengono, organici al completo: insomma bisogna dare una attenzione che dovrebbe essere prioritaria, ma invece non lo è.

Ragazzi trascurati: emerge solo l’aspetto punitivo?

Purtroppo sì. I momenti peggiori sono soprattutto quelli delle festività, in estate o adesso, dove i ragazzi per la riduzione del personale sono lasciati in cella senza fare niente, senza attività. Sono questi i momenti più difficili, momenti di abbandono e di pericolosità.

Anche lei si sente abbandonato?

Non è facile. Nella comunità che dirigo io ci sono 50 ragazzi, non ci sono agenti della polizia penitenziaria, i cancelli sono aperti giorno e notte eppure non scappa nessuno. Questo dice come sia importante una certa metodologia educativa. Se puntiamo solo sul controllo non otterremo risultati migliori: da me i ragazzi non se ne vanno. Succede quando non c’è una collaborazione ma quando uno percepisce il proprio ruolo in termini autoreferenziali.

(Paolo Vites)

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