I conti, anche questa volta, non tornano. Intendiamoci: l’evasione fiscale è da sempre una delle più dolenti piaghe che affliggono l’economia italiana, per giunta di non facile soluzione. Da subito il Governo Conte bis ha cercato di mettere in campo – come dichiarato dal premier stesso a settembre – “un’efficace strategia di contrasto all’evasione, da condurre con strumenti innovativi e un ampio ricorso alla digitalizzazione”. Qualcosa, in tal senso, è stato fatto e ottenuto: gli istituti di credito sono chiamati ora a segnalare tutti i movimenti superiori ai 10mila euro e con la più recente legge di Bilancio sono state riviste e aggravate le pene destinate ai grandi evasori, incluso il carcere. Non solo: come ricorda il quotidiano “La Stampa”, sono state introdotte anche “nuove misure per contrastare le frodi nel settore carburanti” e rafforzate le “norme antielusione per arginare le compensazioni tra crediti fiscali e tasse da pagare non dovute”. Non ultimo, è stato inserito l’obbligo di pagamenti tracciati per ottenere le detrazioni Irpef del 19% con l’unica esclusione delle spese mediche.



EVASIONE FISCALE: I NUMERI DELL’ITALIA

Il quadro, tuttavia, non ha potuto che divenire più negativo con l’avvento della pandemia di Coronavirus: basti dire che con il decreto Rilancio i vertici amministrativi del Belpaese hanno procrastinato di ulteriori sei mesi (si arriva – di fatto – al 2021) l’introduzione totale dello scontrino elettronico, con l’obbligo per qualsiasi commerciante di acquistare un registratore telematico, e la tanto reclamizzata lotteria degli scontrini. Non è tutto: secondo le statistiche dell’Unione Europea pubblicate da “La Stampa”, l’Italia è il Paese con la maggior perdita di gettito IVA, quantificabile in 33,5 miliardi di euro su un totale di 137. I numeri della nostra nazione, se analizzati con attenzione e dovizia di particolari, fanno rabbrividire: l’asticella dell’evasione, stando agli ultimi report, è salita a quota 109,67 miliardi di euro. Prendendo come riferimento il solo 2017, mancano all’appello 32 miliardi di euro di Irpef, 37,17 miliardi di Iva, 8,1 miliardi di Ires, 5,5 miliardi di Irap e 4,87 miliardi di Imu. Situazione, insomma, tutt’altro che rosea.

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