Prendo spunto dalla lettera del signor Marco Poletti inviata al direttore del Corriere della Sera (venerdì 26 agosto) per fare alcune considerazioni sul fenomeno dell’evasione fiscale e delle mosche cocchiere che, volontariamente o no, si impegnano a perpetuarlo.
Marco è un lavoratore autonomo che effettua lavori di manutenzione per le abitazioni, regolarmente fatturati, e rivela come un collega che fa il medesimo mestiere dichiari al fisco solo il 20% delle prestazioni eseguite e, in relazione al basso reddito dichiarato, riceve pure dallo Stato sostegni al reddito e bonus di varia natura, ivi compresi, nei tempi recenti, i contributi per calmierare le bollette energetiche, che a lui vengono negati.
Un caso limitato? Per niente. La relazione annuale del ministero dell’Economia mette in evidenza che questa “propensione” a evadere riguarda poco meno del 70% del reddito prodotto dai lavoratori autonomi e professionisti. L’indagine Istat sul lavoro sommerso la quantifica per un equivalente di un milione di prestazioni a tempo pieno da lavoro autonomo. Allargando l’orizzonte anche ad altre categorie, le prestazioni sommerse svolte da lavoratori dipendenti, ivi compresi i doppi o tripli lavori, lavori occasionali e non, svolti da pensionati, studenti, disoccupati, immigrati, beneficiari di sostegni al reddito, casalinghe, equivalgono ad altri 2,5 milioni di redditi da lavoro a tempo pieno.
Se facciamo delle stime approssimative, utilizzando quelle fornite dell’Agenzia delle Entrate che quantificano su circa 180 miliardi il volume delle somme non dichiarate al fisco, stiamo parlando di almeno una decina di milioni di contribuenti per un importo medio pro capite di 20mila euro non dichiarati. Senza tener conto dei beneficiari indiretti di questi comportamenti (i committenti e le famiglie che non pagano l’Iva).
Tutto ciò offre una spiegazione del 43% dei contribuenti che dichiara redditi che non comportano oneri fiscali. Buona parte dei quali, sulla base delle mitiche dichiarazioni Isee, può godere delle prestazioni sociali di varia natura che vengono negate ai contribuenti onesti.
Un fenomeno antropologicamente legato alla propensione ormai collaudata a livello di massa di piangere miseria per ottenere benefici da parte dello Stato. Che da parte sua denuncia l’evasione, minaccia sfracelli di ogni genere contro gli evasori, salvo prendere atto di non essere nemmeno in grado di recuperare il 90% delle evasioni accertate (circa 900 miliardi di euro). Nemmeno gli importi condonati agli interessati con le rottamazioni, rinunciando alle sanzioni, agli interessi e a una parte delle somme originali contestate.
Come se nulla fosse, sempre lo Stato prende per buone le autodichiarazioni Isee, che la Guardia di finanza ritiene “non idonee” per il 70% delle domande esaminate a campione, per erogare ogni anno decine di miliardi di euro per le prestazioni sociali.
Siccome lo Stato non è un’identità estranea ai suoi protagonisti, in particolare alla cosiddetta classe dirigente, come si comportano questi ultimi di fronte a tali evidenze?
I politici di destra e di sinistra si sono spartiti i compiti. I primi assecondano la pancia del popolo, promettono da decenni di tagliare le tasse, ma al dunque si rendono conto che ridurle anche a quel 13% di contribuenti che le pagano è praticamente una cosa impossibile. Ma la cosa importante è far comprendere alla gran parte del popolo che può continuare ad evadere quelle esistenti. Evviva la pace fiscale.
Quelli di sinistra sono troppo innamorati delle loro visioni ideologiche. Si scandalizzano per l’evasione fiscale, ma l’attribuiscono ai comportamenti dei cosiddetti “grandi evasori”. Minacciano tasse patrimoniali volte a punire i, sempre grandi, possessori di patrimoni (che da parte hanno già legalmente provveduto a dirottarli verso altri lidi). Il loro mantra è sempre lo stesso: redistribuire il reddito, anche quando non viene prodotto, per ridurre ingiustizie e disuguaglianze. E, per lo scopo, utilizzare le famigerate dichiarazioni Isee.
In questo modo il cerchio si chiude: beati i finti poveri e a far quadrare i conti dovranno essere, come sempre, i contribuenti onesti.
Ovviamente servono intellettuali e scienziati sociali in grado di motivare la fondatezza di queste elucubrazioni. Su questo terreno le posizioni si ribaltano: stravincono quelli di sinistra, nominati per lo scopo dai propri referenti politici nelle commissioni indipendenti che hanno il compito primario di scoprire i nuovi poveri, i precari e i lavoratori invisibili allo scopo di aumentare la spesa pubblica per sostenere i redditi, e i non redditi, di ogni tipo. Confondono i numeri delle prestazioni sommerse con quelli dei lavoratori sfruttati senza capacità di discernimento.
Sono talmente specializzati nella ricerca dei poveri da gioire se aumentano, nonostante i 300 miliardi spesi negli ultimi 10 anni per prevenire il fenomeno. Senza nemmeno sentire il dovere di offrire una spiegazione al palese fallimento di queste politiche. Godono del sostegno dei mass media, molto meno di quello del popolo verace.
Sono proprio curioso di vedere se qualcuno di questi intellettuali avrà il coraggio di rispondere con un editoriale appropriato alla lettera del signor Marco. Ma esprimo sin da ora la mia solidarietà per le frustrazioni, destinate a rimanere tali, di un contribuente onesto.
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