Pensavate di aver capito, a scuola, come funziona l’evoluzione della vita sulla terra? Una rivoluzione è in arrivo, che vi lascerà a bocca aperta. Che la vita biologica nel corso della storia di questo pianeta abbia prodotto una dopo l’altra, dall’una all’altra, nuove forme di vita tra cui la nostra, è un dato di fatto. Sul come, però, ne stiamo per vedere delle belle: uno studio americano uscito in questi giorni sta per cambiare il modo in cui pensate l’evoluzionismo.
Le teorie sull’evoluzione della vita si sono anche loro evolute: da Lucrezio a Lamark a Darwin, da Bergson per passare alla biologia molecolare, passo a passo hanno ottenuto un sempre ulteriore miglioramento. A scuola impariamo che questo stravolgimento vitale è avvenuto per mutazioni casuali, che un altrettanto casuale cambiamento ambientale ha selezionato e lasciato vivere (mentre le altre specie senza la mutazione essenziale a sopravvivere perivano). Questo è vero? Sì. È tutto? Assolutamente no.
Infatti varie osservazioni mostrano come le mutazioni causali e la loro selezione da parte dell’ambiente vale realmente per le mutazioni altamente gravi, che determinano morte o vita, come può essere per un batterio cui cambiamo l’habitat: solo i batteri che per caso mutano il genoma sopravviveranno e si moltiplicheranno grazie alla nuova mutazione, portandosi dietro la nuova mutazione: cambiati, evoluti. Ma per le mutazioni che servono solo a vivere meglio (per esempio la riduzione delle dimensioni delle dita dei piedi o la scomparsa dei molari) questo non vale. Ne abbiamo parlato a lungo sulle pagine del Sussidiario in un’inchiesta durata 10 puntate, che ora, rivista e aggiornata, verrà pubblicata in primavera come libro dal titolo I segreti dell’evoluzione, che uscirà a mia firma assieme alla filosofa Lourdes Velazquez (che tratterà una parte di alta riflessione morale) per Cantagalli.
Quelle riflessioni espresse sul Sussidiario a suo tempo erano giuste, e ora le prove ulteriori che vengono dal campo della ricerca confermano le nostre ipotesi: la mutazione casuale è solo parte del meccanismo evolutivo; buona parte invece funziona con meccanismo stocastico, cioè semi-casuale, come insegnava il chimico Enzo Tiezzi. Stocastico significa infatti che la casualità trova una forza che fa convergere le spinte casuali verso un punto, come l’arciere che tira con l’arco e vede che le frecce si dispongono casualmente sul bersaglio, a casaccio ma tutte intorno al centro. Non c’entra un cosiddetto disegno intelligente, ma una forza intrinseca nella natura, legata a fenomeni epigenetici e di autodifesa.
Ecco allora che la scoperta della non-casualità dell’evoluzione non ci stupisce: è casuale, ma c’è una forza dentro questa casualità, che rimane casuale ma si colora di ordine, bellezza, e addirittura solidarietà. Il genoma collabora a evitare che le sue parti più preziose e utili non mutino: si protegge. E pensare che fino a 40 anni fa queste parti protettive venivano chiamate “Dna spazzatura”, solo perché alcuni biologi non ne vedevano un’utilità, non capivano a che servissero; e allora, come spesso accade nella società dei consumi per tutto quello che non si comprende o non serve, non è usa-e-getta, lo consideravano uno scarto.
Parliamo di uno studio pubblicato sulla rivista Nature il 12 gennaio, fatto sequenziando il Dna di centinaia di piante di Arabidopsis thaliana, che nell’insieme fornivano più di 1 milione di mutazioni. La Arabidopsis è un po’ il prototipo delle piante da laboratorio, come il porcellino d’India è per gli animali o la drosophila per gli insetti. All’interno di quelle mutazioni è stato rivelato un comportamento non casuale, contrariamente a quanto previsto. Invece della casualità hanno trovato parti del genoma con poche mutazioni, meno che in tante altre parti; e in quelle parti, i ricercatori sono stati sorpresi di scoprire un altissimo numero di geni essenziali alla sopravvivenza, più che nel restante genoma, ad esempio quelli coinvolti nella crescita cellulare.
Insomma, le aree che sono le più biologicamente importanti sono quelle più protette dalle mutazioni. Se nulla fosse coordinato e ordinato, e le mutazioni fossero casuali, questo non dovrebbe succedere. E addirittura le riparazioni dei danni al Dna sembrano essere particolarmente efficaci in queste regioni più protette. Sembrerebbe un paradosso per certo darwinismo legato ad un pensiero che probabilmente neanche Darwin avrebbe approvato, ma è così: la pianta si è evoluta per proteggersi.
I risultati aggiungono una svolta sorprendente alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale, perché rivelano che la pianta si è evoluta per proteggere i suoi geni dalla mutazione per garantire la sopravvivenza: non ha aspettato che una mutazione casuale fosse selezionata dall’ambiente.
Queste scoperte fanno tornare di moda le scoperte e le teorie di Jean Baptiste Lamarck, che invece nei libri scolastici vengono sbeffeggiate. Certamente Lamarck deve essere riletto, aggiornato e corretto, ma non distrutto e vilipeso. Sono sue le teorie evoluzionistiche basate su una collaborazione con l’ambiente e le altre specie, invece che solo su una competizione. Ci fa piacere aver visto lontano e stare in una strada virtuosa che porterà a capire molto sui processi evolutivi e trasformativi della vita. L’evoluzione casuale e la sopravvivenza del più adatto è stata un’ottima scoperta, ma assurta a dogma, come tutte le buone idee che si cristallizzano, non regge. E il dogma del “più adatto” è servito nell’epoca vittoriana a giustificare l’imperialismo prima inglese e poi di tutto il resto d’Europa sul resto del mondo, la supremazia di un’etnia sull’altra nel cosiddetto darwinismo sociale. Speriamo sia un brutto ricordo.
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