Nulla di fatto, il tavolo al Mise risulta più bloccato che mai dopo un pomeriggio intero di discussioni e confronti tra ArcelorMittal, i sindacati e il Ministro dello Sviluppo Economico: Di Maio uscendo dal Mise spiega «si è concluso il tavolo sull’ulva con ArcelorMittal e i sindacati. Continuiamo a lavorare, c’è ancora tanto da fare per i lavoratori e per Taranto» a conferma di come la soluzione di tutti i nodi in campo siano tutt’altro che vicina. «L’incontro non ha dato la risposta alla domanda principale: se non sappiamo come finisce la partita sull’immunita’ da cui il sindacato e’ escluso il tavolo con ArcelorMittal e’ bloccato», aveva spiegato poco prima la n.1 della Fiom Arianna Re David uscendo anche lei dal Ministero, «il Governo ha assicurato risposte e l’azienda è in attesa di capire ma fino a che non c’è una risposta definitiva lo stallo è pesante» ammette la sindacalista. Nel frattempo notizie non buone arrivano anche dalla Procura di Taranto che in serata ha disposto l’avvio della procedura di spegnimento dell’Altoforno 2 all’interno dell’impianto Ex Ilva: si tratta del sito già sottoposto a sequestro preventivo dopo l’incidente costato la morte nel 2015 di un operaio investito da una colata incandescente. La disposizione di oggi arriva a conseguenza del rigetto del Gup nei giorni precedenti dell’istana di dissequestro dell’impianto: «il pm Antonella De Luca ha affidato al custode giudiziario, Barbara Valenzano, la definizione del cronoprogramma per lo spegnimento dell’Afo 2, che è uno dei tre altoforni del siderurgico di Taranto», riporta l’Agenzia Ansa. Secondo l’analisi del Gup e dei suoi tecnici, «l’azienda non avrebbe applicato tutte le prescrizioni per la messa in sicurezza dell’impianto».
EX ILVA, IL NODO DELL’IMMUNITÀ PENALE
L’articolo del Sole 24 ore a firma Paolo Bricco – di certo uno dei più informati e illuminati sul caso Ilva in tutti questi anni – ha sollevato l’ennesimo polverone al Mise con lo scontro sempre acceso tra l’ArcelorMittal e il Ministro Di Maio. Il tema, una volta di più, è ancora quello dell’immunità penale che il Governo contesta e per la quale invece gli indiani sono pronti a rescindere il contratto di “noleggio” dell’ex ditta dei Riva. Oggi era il giorno tanto atteso del vertice a Roma presso il Ministero dello Sviluppo Economico tra vertici dell’azienda (su tutti l’ad di ArcelorMittal Italia Matthieu Jehl), sindacati e tecnici del Mise oltre ovviamente al Ministro Luigi Di Maio dopo l’ultimatum lanciato dall’azienda indiana sulla possibile chiusura da settembre qualora rimanesse l’abolizione dell’immunità penale per i vertici dell’ex Ilva come previsto dal Decreto Crescita. Ma l’incontro si è rivelato più “incendiario” che mai proprio dopo la pubblicazione dell’articolo sul quotidiano economico: secondo il Sole, ArcelorMittal può rescindere il contratto visto che l’immunità penale era presente anche nella modifica apportata nel settembre 2018, ovvero sotto il Governo Conte e la piena responsabilità del Ministro Di Maio. Nel testo dell’accordo di modifica del contratto di affitto, datato a appunto al settembre dello scorso anno, si dice con chiarezza che l’affittuario avrebbe il diritto di rescindere il contratto nel caso «in cui cambi il quadro giuridico che rappresenta il contesto in cui si è svolta l’asta che ha visto ArcelorMittal aggiudicarsi lo stabilimento di Taranto».
CALENDA ATTACCA DI MAIO “HA MENTITO DI NUOVO, SI DEVE DIMETTERE”
Non solo, in un altro passaggio l’accordo cita esplicitamente «l’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale». Inevitabili e dure le reazioni, a partire dal Ministro Di Maio che oggi arrivando al Mise ha precisato «Quanto alla reintroduzione dell’immunità penale per gli amministratori dello stabilimento ex Ilva di Taranto oggi ArcelorMittal, voglio essere ben chiaro. Non esiste alcuna possibilità che torni. In questi mesi di interlocuzione ho sempre detto ad ArcelorMittal che la dirigenza dell’azienda non ha nulla da temere dal punto di vista legale se dimostra buona fede continuando nell’attuazione del piano ambientale». Ancora il leader M5s aggiunge «se si chiede di precisare questo concetto attraverso interpretazioni autentiche anche per norma, siamo assolutamente disponibili. Ma nessuna persona in questo paese potrà mai godere di una immunità per responsabilità di morti sul lavoro o disastri ambientali». In sostanza, l’accordo siglato nel 2018 prevedeva la clausola solo per il piano ambientale e dunque, secondo il Mise, non sarebbe legale la rescissione di ArcelorMittal dal prossimo 6 settembre: la polemica però infiamma e lo scontro è acceso tanto dentro il tavolo Mise quanto al suo esterno, con l’ex ministro Calenda che su Twitter spara «Luigi Di Maio ha mentito di nuovo. Nel contratto da lui firmato a settembre 2018 la revoca della cosiddetta immunità è disciplinata come causa di risoluzione. Siamo davanti all’ennesima sceneggiata infarcita di menzogne come già accaduto su Ilva con il parere dell’avvocatura, su Tap con le penali fantasma, su Whirlpool con la notizia della vendita dello stabilimento. […] Le opposizioni unite dovrebbero chiederne le dimissioni in aula. Partito Democratico, Più Europa, Forza Italia, Liberi e Uguali». Sul piede di guerra i lavoratori del sindacato Usb che si distanziano dalla posizione di Cgil, Cisl e Uil (che invece ritengono sia giusta l’immunità penale ad Arcelor per responsabilità precedenti l’acquisizione dell’ex Ilva) e attaccano i nuovi proprietari dell’azienda tarantina: «Assunzione di tutti i lavoratori che sono stati discriminati, ritiro della cassaintegrazione, ma soprattutto siamo qui per dire al ministro Di Maio il nostro no all’immunità penale per ArcelorMittal».