Lunedì scorso si è tenuto a Roma, in Confindustria, un incontro tra Acciaierie d’Italia (ADI) e i sindacati. Dopo i recenti incontri presso il ministero dello Sviluppo economico, azienda e sindacati si sono ritrovati in viale dell’Astronomia, presso la sede degli Industriali. All’incontro non ha partecipato il sindacato di base (Usb) che non è stato invitato ed è piuttosto rappresentativo tra i lavoratori. Sarà peraltro interessante capire come evolverà questa situazione.



L’incontro ha permesso, dopo mesi, la ripresa delle relazioni dirette tra azienda e sindacati e, in particolare, l’esame della situazione gestionale e produttiva dopo i passaggi fatti con il Governo. ADI, che proprio nell’ultimo incontro del 19 gennaio aveva stimato la produzione per il 2023 a 4 milioni di tonnellate di acciaio, ha fatto sapere di aver programmato, per lo stesso anno, un aumento produttivo del 15%.



Nelle stesse ore, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato di aver predisposto l’erogazione della dotazione finanziaria pari a 680 milioni di euro per Invitalia affinché possa trasferire “senza indugi” tale somma ad ADI.

In relazione agli investimenti previsti, l’azienda ribadisce la sua volontà di far partire – a fine 2023 – il rifacimento del grande altoforno 5. I sindacati naturalmente sono molto vigili su questo aspetto perché, naturalmente, dalla ristrutturazione di afo5 dipende il futuro della ex Ilva, la più grande acciaieria europea. La svolta “green” che in particolare Bernabè sta portando avanti ha tempi molto lunghi (2035). Solo afo 5 può dare tenuta occupazionale e produttiva alla grande fabbrica tarantina, quantomeno nel futuro prossimo.



Nelle difficoltà della vicenda – “mai vissuta una situazione così complessa” ha detto Bernabè – tutto pare procedere con continuità, almeno per il momento. Permangono i problemi occupazionali: vi sono ancora 4.000 lavoratori in cassa integrazione e il prossimo mese, alla scadenza della Cig, la situazione sarà rivista.

Come abbiamo più volte rimarcato, non sono i fondi a mancare per il rilancio dell’ex Ilva. Consideriamo, infatti, che al momento vi è un tesoretto da quasi 3 miliardi: gli attuali 750 milioni di finanziamento degli azionisti (680 milioni messi dallo Stato e i restanti da Arcelor Mittal) a cui si aggiungono il miliardo del Decreto Aiuti bis e quello stanziato nel Pnrr. In particolare, quest’ultimo è stato destinato a Invitalia per lo sviluppo della società del DRI, il pre-ridotto di ferro.

È necessario che si consolidi la volontà politica di portare a termine l’operazione. Governo, azienda e sindacati stanno collaborando in modo positivo. Permane il fantasma dell'”accordo di programma” che il ministro Urso si è impegnato a portare avanti con Regione Puglia e Comune di Taranto. La speranza è che il Governo non ceda alle continue richieste di Michele Emiliano e Rinaldo Melucci di chiudere l’area a caldo. Ciò significherebbe fermare afo5 e destinare l’ex Ilva alla sola tecnologia elettrica.

Twitter: @sabella_oikos

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