Com’è noto, a giugno 2022 il Governo Draghi – d’intesa con Arcelor-Mittal – decideva di rinviare di due anni l’ingresso definitivo dello Stato al 60% nel capitale di Acciaierie D’Italia. L’accordo per il rinvio prevedeva una proroga al 31 maggio 2024 dei termini, precedentemente fissati al 31 maggio 2022, per il verificarsi delle condizioni a cui è vincolato l’obbligo di acquisto dei complessi aziendali da parte di ADI.
A un anno, quindi, dal cambio di assetto societario, si riaccende lo scontro tra pubblico e privato. Lo scorso maggio è stato, infatti, un mese molto surriscaldato. Intanto, è ripartito l’altoforno 2, quasi un anno dopo la sua chiusura. Doveva essere questa l’occasione per un riequilibrio dei livelli occupazionali. Si scopre invece, dalle organizzazioni sindacali, che ciò che aumenta è la cassa integrazione, peraltro senza che l’azienda nemmeno avvisi le medesime organizzazioni.
Ma la vera diatriba interna alla società è quella tra Morselli e Bernabè: lo scorso 12 maggio Franco Bernabè e Stefano Cao – rispettivamente presidente e ad di Dri d’Italia, la controllata da Invitalia nata per la produzione di acciaio verde – hanno inviato una lettera a quattro ministri (Raffaele Fitto, Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso e Gilberto Pichetto Fratin) per aggiornare il Governo sullo stato di avanzamento del progetto di produzione di acciaio da preridotto (o dri, Direct Reduced Iron).
Nella lettera si legge anche che “Le diversità di assetto azionario tra Dri d’Italia e Acciaierie d’Italia (quale partner industriale e commerciale interessato dall’obiettivo di decarbonizzare dei siti e dei processi produttivi siderurgici che la realizzazione dell’impianto affidato all’attuazione di Dri d’Italia) comportano oggettive difficoltà nel coordinamento tra rispettivi piani industriali, per la cui risoluzione risulta indispensabile un attivo dialogo tra azionista pubblico e privato”.
Ma proprio Franco Bernabè – che firma la lettera e che di Dri è presidente – è presidente anche di Acciaierie d’Italia. L’obiettivo dell’epistola è chiaramente quello di accelerare la riorganizzazione societaria prevista tra un anno.
A questa lettera, segue quella di Lucia Morselli, che la scorsa settimana (29 maggio) ha scritto a Dri d’Italia – e a Franco Bernabè – accusandola di “rifiutarsi di condividere con Adi la propria relazione tecnica sul progetto” e di impedire così la più regolare evoluzione del progetto stesso. In sintesi, la tensione è molto alta.
Ma perché Arcelor Mittal – dopo una gestione totalmente speculare dell’azienda e del sito di Taranto in particolare – si rivela ora così interessata al futuro della ex Ilva?
Lucia Morselli e il signor Lakshmi Mittal hanno capito che il tentativo del Governo di rilanciare la siderurgia italiana è serio. Peraltro, i fondi per l’investimento sono quasi interamente pubblici. Consideriamo, infatti, che al momento vi è un tesoretto da quasi 3 miliardi: gli attuali 750 milioni di finanziamento degli azionisti (680 milioni messi dallo Stato e i restanti da Arcelor Mittal) a cui si aggiungono il miliardo del Decreto Aiuti bis (2021) e quello stanziato nel Pnrr per lo sviluppo del preridotto di ferro.
E anche loro hanno compreso che la domanda di acciaio in Europa è destinata a salire.
Twitter: @sabella_oikos
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