È finita sui banchi della Corte Suprema di Cassazione una vicenda (se non altro) particolare accaduta a Ferrare e che vede una donna muovere guerra legale all’ex marito che, dopo un divorzio definito consensuale, ha rapidamente sperperato il suo importante patrimonio per divertirsi con l’amante romena. Una situazione, fino a qui, del tutto legittima secondo la Corte, ma che sfocia nell’illecito dopo che l’uomo non riesce più a pagare i dovuti alimenti, al punto da essere costretto a “far ricorso agli strumenti di aiuto pubblico“.
Una battaglia legale iniziata ormai da anni e che, finalmente, si è conclusa dando ragione alla donna, con una conferma della sentenza in primo grado e un annullamento di quella in Appello, quando la Corte ritenne che (esclusi gli alimenti dell’ex marito) la coniuge divorziata “aveva altri strumenti per soddisfare o garantire il suo credito“. La Cassazione, invece, ha deciso di appellarsi al concetto di “prodigalità”, definita dalla Corte dei diritti dell’uomo come la tendenza (quasi patologica) a spendere denaro in maniera eccessiva “rispetto alle proprie condizioni socio-economiche e al valore oggettivamente attribuibile al denaro” e che non è ascrivibile ad un eventuale problema mentale che affligge l’ex marito (escluso anche “della consulenza medico legale”), ma comporta comunque il rischio di indigenza.
La Cassazione da ragione alla ricorrente: “L’ex marito deve versare gli alimenti”
Facendo un piccolo passo indietro, nella sua sentenza la Cassazione ci tiene a ribadire che “una persona è libera di disporre del proprio patrimonio, anche in misura larga e ampia, assottigliando ciò di cui legittimamente dispone” e nessuno, in tal senso, può dire all’ex marito della donna come spendere il suo denaro. Tuttavia, tale libertà non può comportare, neppure collateralmente, “condizione in cui, non solo non sia più in grado di assicurare i doveri di solidarietà già posti a suo carico”, con chiaro riferimento agli alimenti chiesti a quello che fu suo marito dall’ormai ex moglie, “ma finanche quelli in favore della propria persona, altrimenti costretta a far ricorso agli strumenti di aiuto pubblico da richiedersi a dispetto delle proprie capacità di vita dignitosa”.
L’uomo, si legge nella sentenza, a causa del “comportamento improntato alla prodigalità, con abituale larghezza nello spendere, rischiando eccessivamente rispetto alle proprie condizioni socioeconomiche e non riconoscendo più alcun valore oggettivamente attribuibile al denaro”, ha speso in un periodo di tempo non meglio definito “circa 512mila euro” dal suo ricco patrimonio personale. A fronte di tutto questo, dunque, la scelta più consona, secondo il parere della Corte, è che l’ex marito (quasi) indigente sia affidato alle cure di un tutore, che avrà il solo compito di assicurare che versi quanto pattuito dagli accordi di divorzio stipulati nel pieno della sua lucidità mentale.