Ieri a Le Iene la storia di Luigi Celeste, oggi tecnico specializzato nella sicurezza informatica. Il 20 febbraio 2008, Luigi aveva appena 23 anni quando in una casa della periferia milanesi impugna una Beretta scaricando contro il padre un intero caricatore davanti agli occhi della madre. La sua però non è solo la storia di un parricida ma è quella di una doppia vita, un prima ed un dopo separato da quel gesto brutale caratterizzato dall’omicidio del padre. A Pablo Trincia, Luigi ha raccontato la sua prima vita, vissuta in una “famiglia caratterizzata da questo padre violento che usava fare violenza nei confronti di nostra mamma”. Francesco, padre di Luigi, fisicamente simili, era un ex pugile dilettante e veniva da Secondigliano, portava il pane a tavola “con le rapine”. “Nella sua vita ha scontato oltre 23 anni di carcere e sfogava questo suo disagio mentale con una morbosa gelosia nei confronti di nostra mamma”, ha raccontato alla iena. Tante le scene di violenze a cui ha assistito, a seguito delle quali la madre ha perso tutti i denti. Sin da bambino Luigi cercò di reagire contro quelle violenze. “Mia madre lo ha denunciato spesso”, ha dichiarato, ma se il padre fu condannato perdendo la patria podestà, anche la madre fu messa in una struttura destinata a donne maltrattate, allontanandosi così dai suoi figli, affidati agli assistenti sociali. “Ha sfasciato una famiglia”, ha commentato, riferendosi ancora al padre violento.



IL SUO PASSATO DA SKINHEAD

La mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni e l’adolescenza difficile hanno portato Luigi Celeste, da giovanissimo, ad unirsi ad un gruppo di skinheads milanesi. Aveva circa 18 anni quando sul collo si tatuò la scritta “Vendetta”, legandosi agli estremisti di destra. “Trovai in quelle persone quella famiglia che in casa mia non c’era mai stata. L’uno per l’altro avremmo dato la vita”, ha raccontato. Ma era anche spesso coinvolto in risse che lo portarono, nel 2004, a scontare 9 mesi di carcere. Uscito dalla galera, torna a casa insieme alla madre e al fratello ed anche il padre, dopo l’ennesima detenzione, esce per via dell’indulto ed un giorno si ripresenta da loro. “La sera del 26 dicembre trovammo lui con gli scatoloni in casa, non era stata una scelta della mamma ma lei non fu in grado di respingerlo”, ha raccontato. Luigi però non è più un ragazzino e si sente alla pari con il padre. Un giorno di marzo del 2007 la situazione precipita quando il fratello regala alla madre un mazzo di mimose. Quel gesto scatenò nel padre una reazione assurda convinto di una relazione incestuosa tra la moglie e uno dei suoi figli e iniziarono le minacce. “Decise di denunciarlo ma non fu preso in considerazione”. Ormai abbandonati dalle istituzioni, Luigi sente di dover essere lui a difendere fratello e madre ma da quel momento fu lui stesso vittima di minacce da parte del padre.



L’OMICIDIO DEL PADRE, IL CARCERE E LA RINASCITA

Il giorno in cui Luigi fu minacciato dal padre con un coltello, decise di comprare una pistola. In poche ore, dopo aver chiesto aiuto ad un ex detenuto, il giovane è entrato in possesso dell’arma. “Tornai a casa molto più tranquillo perchè di fronte a un coltello aperto io avevo una pistola”. Arriva la drammatica sera del 20 febbraio 2008, quando durante l’ennesima scena di violenza la madre alza la voce ed il padre perde la testa. “Aveva la faccia bordeaux, era furente, nella mano destra aveva un fazzoletto con sotto qualcosa, era lo stesso coltello con cui minacciò di morte me e mio fratello”, ha raccontato Luigi. A quel punto il giovane decise che quella situazione doveva finire lì: “scesi in sala, mia mamma mi guardò agitata, mio padre era in cucina e mi guardava con la coda dell’occhio. Tirai fuori l’arma che avevo in tasca e iniziai a sparare, scaricai l’intero caricatore”. Quella storia di violenza familiare giunse al suo epilogo più drammatico e lì finisce anche la prima vita di Luigi Celeste. Per l’omicidio del padre fu condannato a 12 anni di carcere, poi ridotti a 9. “Mi sono spogliato di tutta quella vita che non avevo mai scelto”, ha commentato. Proprio in galera inizia a rinascere: “mi son detto che da qui deve rinascere il mio riscatto”. “Non sono nato cattivo, un reato l’ho commesso e lo devo pagare ma da qui esco meglio di come sono entrato”, ha pensato sin dal suo arresto. Nel carcere di Bollate ha seguito dei corsi di informatica, oggi è un tecnico specializzato nella sicurezza informatica, è un lavoratore indipendente e gira per il mondo. Dopo il carcere è ufficialmente iniziata la sua seconda vita. A distanza di 10 anni dall’uccisione del padre, però, non si è mai pentito: “Uccidere una persona è sbagliato ma nel momento in cui non hai alternative se non quella di morire, era l’unica strada”.



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