La notizia sarebbe potuta passare inosservata in Francia, eppure è andato in scena un nuovo episodio della soap opera legale e politica che da oltre 40 anni contrappone la Francia all’Italia.
Mercoledì 29 giugno, dopo mesi di udienze, la Chambre de l’Instruction del Tribunale di Parigi, che si pronuncia sulle richieste di estradizione, ha emesso parere sfavorevole sulla richiesta dello Stato italiano di estradare 10 ex esponenti di gruppi terroristici di estrema sinistra che hanno trovato rifugio in Francia negli anni 80, sfuggendo così alla giustizia del loro Paese.
Tale decisione dei giudici, ha spiegato il presidente della Camera, si basava sul rispetto degli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che richiamano il diritto al rispetto della vita privata e familiare nonché il diritto a un processo equo. Questa decisione dei tribunali francesi è in linea con la “dottrina Mitterrand”, dal nome del capo di Stato francese che negli anni 80 si batté per la presidenza della repubblica mettendo a tema il rispetto dei diritti e in particolare del diritto d’asilo.
L’idea era la seguente: il presidente si impegnava a non estradare ex membri di gruppi terroristici nel momento in cui avessero rinunciato alla violenza e alla clandestinità. L’integrazione riuscita per decenni nella società francese, così come il rispetto per questo patto tacito, sono due dei principali argomenti degli avvocati e dei sostenitori di questi attivisti per difendere il rifiuto della loro estradizione.
Per 40 anni e con rare eccezioni, fu questa dottrina, tuttavia priva di fondamento giuridico, a prevalere tra Francia e Italia, avvelenando le relazioni diplomatiche tra questi due Paesi vicini. L’anno scorso, però, con sorpresa di tutti, Emmanuel Macron era sembrato voler rompere con questa tradizione, rispondendo favorevolmente alla richiesta del ministro della Giustizia italiano Marta Cartabia che, temendo la prescrizione per alcuni reati, aveva trasmesso alla Francia una “richiesta urgente” per l’arresto di 10 ex membri di gruppi terroristici.
All’epoca il ministro della Giustizia Éric Dupond-Moretti aveva dichiarato: “Sono orgoglioso di prendere parte a questa decisione che, spero, consentirà all’Italia, dopo 40 anni, di voltare una pagina della sua storia macchiata di sangue e lacrime. L’Eliseo ha poi precisato: “il presidente ha voluto dirimere questo argomento, come l’Italia chiedeva da anni, seguendo rigorosamente la dottrina Mitterrand”, che escludeva i crimini di sangue dalla politica anti–estradizione.
Parafrasando una frase di Pascal, la giustizia ha delle ragioni che la politica ignora e sembra che gli avvocati di questi 10 “ex terroristi” di età compresa tra i 61 e i 78 anni, così come la Lega dei diritti umani, il Sindacato degli avvocati di Francia o più in generale i circoli intellettuali francesi di sinistra, che hanno sempre favorito la protezione di quelli che chiamano “combattenti per la libertà”, hanno vinto un’altra battaglia in questa resa dei conti. Quando è stata annunciata questa decisione, Irène Terrel, avvocato di 7 dei 10 ex attivisti, ha esultato: “è il trionfo della legge dei diritti, dell’umanità e della giustizia contro la ragione di Stato”. Un altro avvocato ha aggiunto sul rifiuto quasi sistematico della giustizia francese di rispondere favorevolmente alle richieste di estradizione dello Stato italiano: “dal mio punto di vista, gli italiani devono poter stabilire faccia a faccia la loro storia ed esaminare il loro passato”.
Marina Petrella, Roberta Cappelli, Sergio Tornaghi, Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Narciso Manenti, Giorgio Pietrostefani, Luigi Bergamin, Raffaele Ventura, Maurizio Di Marzio, tutti condannati in Italia per omicidio ma anche, tra gli altri reati, sequestro di persona, associazione a scopo terroristico, banda armata, propaganda terroristica, rimarranno quindi in Francia, beneficiando così del diritto all’errore, all’oblio, alla giustizia e alla libertà menzionato dai loro sostenitori. Non sembra più rilevante il diritto dei parenti delle vittime di vedere i responsabili di questi reati sotto la loro responsabilità in Italia. Il procuratore generale della Corte d’Appello tuttavia ha dichiarato impugnabili in Cassazione le decisioni della Camera.
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