Ripartire non è solo un dovere, è anche una grande opportunità. La grande crisi che ha colpito tutti i Paesi occidentali, costretti a drastiche misure di contenimento delle attività, ha provocato ferite profonde, soprattutto in Italia che già all’inizio del 2020 si presentava in perdita di velocità con un’economia fiacca e un debito pubblico in continua crescita.
Il dopo-pandemia si presenta così con uno scenario più che preoccupante. Per le limitazioni che continuano a colpire settori importanti come quelli dei viaggi e del turismo, per la necessità di rivedere quel processo di globalizzazione che appariva come una marcia senza alternative, per la necessità almeno di proseguire gli sforzi per ritornare a un equilibrio ambientale con la lotta al surriscaldamento globale.
Anche perché alla prova delle difficoltà almeno un elemento è emerso con chiarezza. Il ruolo sempre più importante che può essere svolto dalla rivoluzione digitale, dalle enormi potenzialità che possono essere messe a frutto con le nuove potenzialità del matrimonio tra informatica e telecomunicazioni. Un’informatica che ha moltiplicato le capacità di memoria e insieme di elaborazione dei dati, un sistema di telecomunicazioni che dimostra enormi possibilità di sviluppo, soprattutto attraverso la quinta generazione (5G) degli standard di telefonia mobile e cellulare.
Come spiega molto bene Giuseppe Sabella nel suo ultimo libro (“Ripartenza verde, industria e globalizzazione ai tempi del Covid”, Ed Rubbettino, pagg. 158, €14) “l’industria è il principale responsabile della crisi ambientale, ma è allo stesso tempo, il principale attore che può ripristinare un equilibrio nel pianeta sia per le potenti risorse di cui dispone, sia per le capacità che da sempre esprime per interagire, anche in modo virtuoso con l’ambiente esterno”.
L’industria di oggi non è più quella di una volta. Il nuovo paradigma si chiama digitale. Non solo telefonini, ovviamente, che comunque racchiudono tante funzioni che fino a pochi anni fa richiedevano tanti oggetti diversi, dalla sveglia, al registratore, dalla macchina fotografica alla radio e alla televisione. Si stanno realizzando un insieme di prodotti-servizi iniziando dallo smart working, dall’home banking, dall’e-commerce, da tutte quelle possibilità che, con una nuova progettualità possono migliorare il benessere collettivo. Pensiamo alla tele-medicina, che può migliorare radicalmente l’assistenza domiciliare, pensiamo ai dispositivi di sicurezza delle auto, che possono limitare gli incidenti, pensiamo ai controlli delle emissioni razionalizzando i fabbisogni di energia.
“La rivoluzione digitale è solo all’inizio – conclude Sabella nel suo libro – e con la giusta fiducia possiamo dire che ci condurrà verso un mondo migliore dove non dimentichiamo che l’uomo avrà sempre l’ultima parola: anche nella civiltà delle macchine il soggetto del cambiamento sarà sempre la creatività umana”.
Il richiamo alla “giusta fiducia” appare quanto mai opportuno. Perché la realtà italiana è tutt’altro che contrassegnata dalla convinzione di proseguire con decisione verso il digitale. Lo dimostrano, tra l’altro, il crescente numero di sindaci, compresi quelli di grandi città come Reggio Calabria, che hanno adottato provvedimenti per bloccare l’installazione delle antenne necessarie per il 5G.
Dietro queste scelte non c’è solo una sommaria applicazione del principio di precauzione, c’è soprattutto un diffuso pregiudizio anti-industriale unito a una populistica ostilità verso tutto ciò che è moderno e per di più invisibile.
Il 5G è un’enorme risorsa che può essere utilizzata al meglio per dare competitività alle imprese, un fattore di cui c’è enorme bisogno, ma insieme per affrontare con nuove risorse le politiche di risparmio energetico, di riequilibrio ambientale, di riduzione delle emissioni che alterano il clima. Ostacolare questo progresso tecnologico, alla luce di presunte e mai dimostrate pericolosità, vuol dire allontanare ancora di più l’Italia dagli altri Paesi con un costo sociale sempre più pesante.