La pandemia ha scrollato il mondo; tutti cercano il bandolo della matassa da raggomitolare per venir fuori dallo scrollo. Occupazione, il bandolo dei politici, tutti occupati a mettere in campo ipotesi alla bisogna. Quelle keynesiane, senza il becco d’un quattrino, risultano inattingibili. Quali altre allora?
Rimettere in moto la produzione che genera lavoro, indi occupazione, magari fornendo incentivi. Ma non si era con i conti pubblici in fibrillazione? Poi, suvvia, quale produttore, seppur incentivato, vorrà investire per produrre se non ha certezza di incontrare la domanda? Mica scemo, lui sa che per far produrre ha erogato redditi insufficienti a smaltire quanto il lavoro ha prodotto.
Signori, per queste vie non si cava un ragno dal buco. Nell’Economia dei consumi, partire dall’occupazione per avere reddito che acquista e genera crescita risulta una pia illusione. Cambiamo registro, si parte dal reddito e, vedrete, l’occupazione verrà. Ricominciamo daccapo: quel reddito potrà generare spesa, quindi la crescita, poi nuova produzione, indi lavoro, poscia occupazione.
Si dirà: dare reddito “a gratis” per innescare il processo virtuoso, risulta diseconomico, fors’anche immorale. Ennò cari miei, la sostanza economica di un reddito di tal fatta compensa quel lavoro di acquisto e consumazione, svolto ben oltre il bisogno, che potrà sostenere proprio l’economia creando occupazione e remunerandola fornendo pure un assegno morale a questi atti di consumo tanto esecrati dai sociologi.
Dove stanno le risorse per retribuire? Là dove sono: nei business abborracciati, nelle rendite, nelle filiere produttive troppo lunghe che disperdono profitto, negli utili inutilizzati, pure tra quelli della bassa propensione al consumo che mettono i soldi al pizzo. Tocca redistribuire i carichi, i compensi e i vantaggi per raddrizzare la barca e tornare a navigare sulle rotte della crescita e potersi confrontare con la pandemia con meno affanno.