Tra ordine e disordine è il tema della diciassettesima edizione del Festival dell’Economia di Trento, la prima sotto la regia del Sole 24 Ore: oltre duecento appuntamenti, dieci ministri, sei premi Nobel, trentasei relatori internazionali, trenta manager e imprenditori tra i più importanti d’Italia, ventisei esponenti delle istituzioni europee e nazionali. Un bello sforzo organizzativo e intellettuale per cercare di capire in che modo riprendersi dal doppio colpo della pandemia (si spera oggi sotto controllo) e della guerra (con un finale ancora tutto da scrivere). Un percorso di riflessioni e dibattiti che si svolge dunque in un clima di completa incertezza. Quasi un allenamento in vista di una sfida che presto affronteremo.
E la sfida riguarda la definizione di quale società vogliamo costruire per garantirci un supplemento di futuro. Quali valori elevare a fondanti di una nuova comunità globale rispettosa delle specificità locali. Quale sistema di governo assicurare a un disegno di civiltà che oggi sconta la debolezza decisionale delle democrazie e la baldanza pericolosa delle autocrazie.
Tra i tanti contributi alla discussione irrompono sulla scena due volumi: “La Felicità Negata” di Domenico (Mimmo) De Masi e “Il Grande Inganno” di Paolo Cirino Pomicino. Un sociologo e un politico, entrambi di lungo corso, che partendo da posizioni molto distanti arrivano allo stesso punto: turbo finanza e turbo capitalismo hanno fatto troppi disastri e vanno messi in soffitta.
Scrive De Masi in copertina che “Il modello economico e sociale che abbiamo inseguito negli ultimi 50 anni ci ha reso più scontenti, insoddisfatti, tristi”. Ammonisce Pomicino nelle sue pagine che “Sottotraccia, nelle società europee, scorre un fiume di rabbia che o si trasforma in una nuova politica seria o esploderà con esiti imprevedibili”.
Interpretando un sentimento diffuso, i due autori sono convinti che il modello che ci stiamo lasciando alle spalle – con le sue insicurezze e le troppe ineguaglianze – non merita alcun rimpianto. Anzi, per la sua protervia e arroganza si è andato a schiantare contro il muro della verifica dei fatti. Occorre stabilire un nuovo consenso che porti il mostro sotto controllo.
Il tema, in tutta evidenza, è come passare dalle parole ai fatti. Nella loro dimensione tragica, guerra e pandemia funzionano da acceleratori del fenomeno che conduce al ripensamento delle governance. In particolare, sarà necessario allineare economia e finanza ridefinendo le regole del gioco che oggi consentono alla seconda di vivere una dissipata vita propria.
È sempre difficile per una persona di cultura liberale immaginare di mettere il cappio al naturale al dispiegarsi di fenomeni riconducibili alle leggi del mercato. Ma quando gli esiti conducono così lontano dai desideri dei più da diventare odiosi è certo che non si può restare a guardare, ma è venuto il momento d’interferire. Con una grande mano tutt’altro che invisibile.
Il tema di fondo è come scongiurare che le fratture dell’impalcatura su cui poggia l’umanità si allarghino ulteriormente anche a causa della pervasività della tecnologia il cui sviluppo corre più veloce della capacità di dominio. Prima che l’intelligenza artificiale soppianti quella umana occorre che questa recuperi coscienza di sé fissando le ragioni e le mete del viaggio.
Passare da questo disordine a un nuovo ordine non sarà semplicissimo. Ma c’è almeno bisogno di fermarsi a riflettere per cercare di dare un senso – credenti o non credenti – alla giostra cui siamo consegnati dal momento della nascita a quello dell’addio. Perché il frattempo non sia un calvario e l’esistenza uno stato di cui aver paura. Qualsiasi cosa sia, occorre recuperare l’anima.
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