“La crisi economica che, fortunatamente, si sta abbattendo sulla nostra società non è cattiva né ingiusta. Servirà invece a fare selezione. Il barista che mi serve il cappuccino senza nemmeno guardarmi in faccia, fallirà. Il gestore telefonico che mi attiva dei servizi a pagamento che non ho mai chiesto, fallirà. Lo stilista che fa confezionare i suoi capi in Corea facendoli pagare come sartoria italiana, fallirà. L’albergo che non fa i lavori di manutenzione per risparmiare sulle spese, fallirà. Il negozio che per risparmiare sui costi tiene a disposizione un solo commesso costringendo i clienti a fare mezz’ora di coda, fallirà”.



L’elenco potrebbe seguire all’infinito. E quando ne scriveva l’autore del testo – inserito in un libro intitolato “La via della ricchezza” – si era all’indomani dello tsunami economico del 2008. La pandemia era ancora lontana da venire, ma il concetto era già chiaro: il mondo sta cambiando e i rivolgimenti di ogni tempo accelerano i processi che sono in atto.



Con l’avvento del Covid l’andamento si radicalizza e al di là della stagione dei sussidi e del blocco dei licenziamenti si prospetta un lungo periodo di laboriosità se davvero si vuole cogliere l’occasione del Next Generation Eu con la sua ricca dote di 209 miliardi da spendere in sei anni (poi ci sono i fondi europei propriamente detti e si arriva a quasi 300). Vuol dire che i comportamenti faranno la differenza, di ciascuno e collettivi. Una volta stabilito un quadro di norme e regolamenti meno impedente di quello attuale sarà la capacità delle persone a determinare il successo o l’insuccesso del tentativo italiano di agganciare la ripresa e mostrare nei fatti quella resilienza che a parole ci attribuiamo.



Soprattutto, dobbiamo imparare a coltivare la virtù della responsabilità senza la quale qualsiasi impegno resta nell’aria o sulla carta senza possibilità d’inverarsi. Dobbiamo comprendere che davvero l’uomo e la donna sono artefici della propria fortuna, come ammonivano gli antichi, e chi è causa del suo male può solo prendersela con se stesso senza addossare agli altri la causa della propria insoddisfazione.

Ci vogliono studio impegno e perseveranza per raggiungere gli obiettivi desiderati. E, sì, un po’ di fortuna non guasta mai. Ma anche questa, come si sa, benché bendata sa riconoscere gli audaci e li aiuta. E allora riprendiamo il destino nelle nostre mani. Recuperiamo i valori oggi fortemente attenuati che hanno reso benemeriti i nostri padri e i nostri nonni. Se l’Italia – nonostante la sua scarsa dimensione e la mancanza di materie prime e fonti energetiche tradizionali – resta tra i primi sette/otto Paesi industrializzati del mondo e conserva la posizione di seconda manifattura d’Europa (dietro la Germania e davanti alla Francia) è proprio per i sacrifici e la determinazione a fare di cui furono capaci le generazioni del Dopoguerra.

Bisogna essere all’altezza delle proprie ambizioni e consapevoli delle proprie possibilità lavorando per espanderle fino al raggiungimento della pienezza di cui c’è bisogno per trovare soddisfazione. Certo, lo Stato con tutti gli apparati di cui dispone deve creare le condizioni perché tutti possano mettersi in gioco e vincere la propria partita. Ma dev’essere chiaro che più di questo (ed è già moltissimo) non si può chiedere. Non si possono addebitare sempre agli altri o alle avversità del destino le proprie sconfitte.

Alla fine, siamo noi a plasmare il nostro presente e a preparare il nostro futuro. Sarà la somma delle nostre singole volontà a farci riprendere la strada della crescita e della prosperità o a portarci sul binario morto del declino.

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