Le grandi città globali del futuro saranno come la Hong Kong di oggi? Probabilmente sì. Il pregio di Expats, la nuova miniserie prodotta e interpretata da Nicole Kidman – disponibile su Prime Video, l’ultimo episodio è programmato per il 23 febbraio – è innanzitutto il racconto, come al solito patinato e ben fatto, di cosa succede in questa grande città cinese, ormai priva di una reale identità, sospesa com’è tra un passato di successo, un presente di sviluppo e ricchezza, e un futuro, soprattutto politico, di totale incertezza.
La serie, tratta dall’omonimo libro di Janice Y. K. Lee, è incentrata sulle vicissitudini della famiglia Woo che per lavoro si è trasferita dagli Stati Uniti a Hong Kong. Il loro inserimento nella comunità internazionale che vive nell’ex insediamento britannico ora passato sotto la giurisdizione cinese avviene all’insegna di quelli che si considerano “espatriati” di lusso, che trascorrono la loro esistenza tra lauti guadagni e puro divertimento, un’infinità di feste e numerosi disagi quotidiani. La loro vita da privilegiati è solo però l’altra faccia di una realtà dove gli altri “immigrati”, quelli che sono giunti in città dai Paesi vicini (Corea, Filippine, India, la stessa Cina) attratti da umili lavori di cui ha bisogno la città dei ricchi (domestiche, autisti, portieri di condomini di lusso, babysitter, dogsitter), combattono la loro quotidiana vita di sopravvivenza.
Il racconto assume quasi subito i caratteri di un vero e proprio thriller quando, durante una spensierata visita al famoso mercato notturno della città, scompare Gas, il figlio più piccolo della famiglia. Margaret Woo, la protagonista interpretata dalla Kidman, aveva imprudentemente affidato il piccolo a una babysitter in prova. La donna è distrutta dai sensi di colpa, e la ricerca disperata del ragazzo spinge la famiglia sull’orlo del baratro, segnando sia i rapporti con i loro vecchi amici che con i locali, oltre a costringerli a rinviare il loro rientro negli Stati Uniti.
Ma la vita reale della città si percepisce – in particolare nel quinto episodio di un’ora e 40′, un film nel film – solo quando la si guarda dal punto di vista della moltitudine che ci lavora, che vive in case minuscole e mal funzionanti, lontane dalle colline dei ricchi. Quando si incominciano a percepire i drammi di quelli che vivono nella società di “sotto”, si incontrano anche la protesta, il malcontento, la contestazione del regime, che sfocerà nelle manifestazioni anti-cinesi del 2019-20, duramente represse da Pechino. E non è un caso che i primi a protestare per la serie tv prodotta dalla star australiana siano state propri le autorità cinesi.
Questo conflitto latente tra ricchi che conducono vite agiate e una moltitudine di persone che svolgono h24 i mille mestieri necessari al mantenimento del loro tenore di vita, potrebbe riguardare molte altre città in giro per il mondo dove i possessori della ricchezza mondiale si sono rifugiati, per pagare meno tasse e per garantirsi una protezione totale. Sono città che godono di uno status politico indipendente, come il Principato di Monaco, Singapore, Dubai, e molte altre di cui non conosciamo neanche il nome. Città-Stato che crescono velocemente ma dove è difficile avere accesso. Non sono le megalopoli del XX secolo, ma vere e proprie isole riservate ai privilegiati.
È vita reale? I ricchi che ci abitano sono felici? Chi ci lavora senza tutele e con stipendi appena accettabili per viverci, è soddisfatto? Guardando Expats sembra proprio di no. Ma soprattutto si percepisce che intorno a queste realtà piene di privilegi non c’è consenso, su di esse incombono le mire degli Stati sovrani che incominciano a digerire sempre meno la loro forza, ormai non solo economica.
Va riconosciuto alla Kidman un pregio assoluto, quello di indagare il mondo dei ricchi non dal buco della serratura ma dalla porta principale: quella della loro crisi di identità.
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