Issy-les-Moulineaux, comune francese di 64.848 abitanti a una decina di chilometri da Parigi, dipartimento dell’Hauts-de-Seine, regione dell’Île-de-France. Qui, nel Palais des Congrès, i delegati di 182 Paesi riuniti nella 173esima assemblea generale del Bie (Bureau International des Expositions) ieri hanno deciso che il World Expo 2030 si terrà a Ryad, capitale dell’Arabia Saudita: 119 voti, vittoria al primo turno. L’Italia, con Roma, s’è piazzata al terzo e ultimo posto: solo 17 voti. Al secondo posto l’altra candidata, Busan, Corea del Sud: 29 voti.



Non si può dire che il risultato fosse imprevisto, tante le posizioni già ampiamente espresse da molti dei Paesi membri Bie (“Grazie ai circa 130 Paesi che hanno già annunciato il loro sostegno alla candidatura del regno per Expo 2030” aveva detto il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan), e visto anche che l’Italia si può dire avesse già avuto, ospitando l’edizione di Expo del 2015 a Milano (anche se Osaka, in Giappone, dopo averla ospitata nel 1970, organizzerà ancora l’Expo nel 2025).



Non è tanto la mancata scelta, dunque: a stupire è il modestissimo carniere di voti, appena 17, come dire che non ci hanno premiato nemmeno tutti i “parenti stretti”, leggi i Paesi del Vecchio Continente. Ma anche questo, in fondo, non può più sorprendere, dopo i Mondiali di calcio ospitati l’anno scorso nel rovente Qatar, dopo le scelte della Formula 1 per i circuiti sabbiosi di Bahrein e Jeddah, in Arabia. Del resto, l’Expo non è una competizione o un’Olimpiade, è piuttosto una grande vetrina, regolata da interessi e marketing, dove le enormi disponibilità economiche dei promotori sono di per sé garanzie. Resta da capire come mai, malgrado la conoscenza delle posizioni predominanti, l’Italia abbia scelto di correre fino in fondo, e non mediare costruendo magari una candidatura più forte e sostenuta per un’edizione futura. A questo punto, l’unico ad uscirne incolume è il pizzetto del presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca: il governatore aveva promesso che l’avrebbe tagliato se Roma avesse vinto.



I peana. Erano tre le testimonial ufficiali per Roma a Issy-les-Moulineaux: Bebe Vio, per due volte oro paralimpico nel fioretto, l’attrice Sabrina Impacciatore (“Roma è la madre di tutti noi”, ha detto) e l’ambasciatrice Unicef Trudy Styler, moglie di Sting (presente con un video). Una delegazione al femminile, preceduta dal Sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Molti gli interventi da remoto, a partire da quello della Premier Giorgia Meloni (“Scegli Roma, portiamo la storia nel futuro!”), fino a quello di Jannik Sinner (“L’Italia incarna i valori dello sport, della società e dell’umanità”). Presenti a Issy anche il ministro Andrea Abodi e la vicepresidente della Regione Lazio Roberta Angelilli. Un buon volume di fuoco, insomma, che Ryad aveva cercato di rintuzzare schierando (con una clip) Cristiano Ronaldo, che però proprio arabo non è. Mentre la Corea ricordava Gangnam style e Squid Game

Il precedente. C’è un (non) precedente, una grande incompiuta: Roma nel 1942 avrebbe già dovuto ospitare l’Esposizione Universale. Ed era pronta: il regime fascista aveva allestito perfino un quartiere dedicato, l’Eur (esposizione universale Roma), un distretto che avrebbe dovuto avere carattere permanente, e che fu progettato in puro stile razionale (a firma dell’archistar dell’epoca, Marcello Piacentini), un mix di classico e moderno, un filino monumentale (vedasi il Palazzo della Civiltà). Le strutture previste furono realizzate solo in parte, e comunque nel ’42 l’Expo fu soppressa, causa guerra. Ma il quartiere vide in tempi successivi gli aggiustamenti e l’avanzata dei lavori di molte altre costruzioni e infrastrutture (come la mitica via Imperiale, rinominata Cristoforo Colombo). L’Eur, e la sua vocazione originaria di Terza Roma, furono poi uno dei poli (oltre al Foro Italico) per le Olimpiadi del 1960.

Il confronto. Per Expo Roma (maggio-ottobre 2030) si era coniato il claim “Persone e Territori: Rigenerazione, Inclusione e Innovazione”. Si stimava la partecipazione di circa 150 Paesi con circa 30 milioni di visitatori (metà italiani, metà stranieri). Un business consistente, 50 miliardi di euro, il 3% del Pil. Per Expo 2030 Busan (città da 3,6 milioni di abitanti in Corea del Sud) lo slogan era “Trasformare il nostro mondo, navigare verso un futuro migliore”. Per Expo 2030 Ryad (capitale dell’Arabia, una megalopoli da poco meno di 8 milioni di abitanti) era “L’era del cambiamento: insieme per un futuro lungimirante”. Già ritirate in precedenza le candidature di Mosca e Odessa.

La geopolitica. L’inedito avvicinamento tra Israele e Arabia (spin-off degli Accordi di Abramo del 2020) aveva fatto propendere lo Stato ebraico al sostegno della candidatura di Ryad. Ma le dure critiche piovute su Tel Aviv dalla monarchia saudita per la reazione sulla Striscia di Gaza, nelle ultime settimane hanno fatto cambiare posizione: Israele si è dichiarata in sostegno dell’Expo a Roma.

Il Bie. Il Bureau International des Expositions è l’organizzazione intergovernativa (182 Stati membri) che gestisce le Esposizioni universali e internazionali. Fu varato con la “Convenzione di Parigi” nel novembre 1928 da 31 Paesi, ma la sua attività iniziò solo nel 1931. Ogni Stato membro è rappresentato da un massimo di tre delegati nominati dai Governi: si riuniscono due volte l’anno in quattro comitati.

Expostory. La prima Expo risale al 1851, a Londra, con 25 Paesi e circa 6 milioni di visitatori. Nel 1889 l’Expo di Parigi, quando l’ingegnere Eiffel costruì la celebre torre, che avrebbe dovuto essere poi smantellata e che invece divenne il simbolo della capitale francese. L’ultima Expo italiana è del 2015, a Milano, con 137 Paesi e oltre 22 milioni di visitatori. L’ultima Expo, invece, è stata quella di Dubai (Emirati Arabi Uniti), prevista nel 2021, ma spostata all’anno successivo causa Covid (25 milioni di visitatori). La prossima è fissata nel 2025 a Osaka, in Giappone, nel 2025.

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