L’agroalimentare è senza dubbio tra i settori più rilevanti per l’economia del nostro Paese. Muove un fatturato di 203 miliardi di euro. E di questi ben il 21% si genera all’estero. L’andamento delle esportazioni del nostro food & beverage rappresenta dunque una voce importante per la ripartenza di cui il Paese ha tanto bisogno. Ma quali sono le reali prospettive per il nostro export? E quali criticità dovremo prepararci ad affrontare? Sul tavolo s’incrociano più variabili: cambiamento delle abitudini di consumo, crisi economica generata dalla pandemia, variazioni degli scenari geo-politici.
Tutti fattori che potranno incidere sui numeri della nostra bilancia commerciale alimentare. Certo, molto cambia a seconda delle specificità dei singoli mercati, come spiega il Direttore Generale dell’ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane organismo), Roberto Luongo.
Il primo fronte sotto la lente è la Gran Bretagna, dove si rileva qualche criticità: prodotti confezionati in Paesi Ue che contengono però ingredienti provenienti da Paesi extra Ue sono al momento sottoposti a dazi. Quali sono le reali prospettive di consolidamento delle relazioni tra Ue e UK?
Effettivamente le merci che non godono della denominazione di origine Ue sono al momento sottoposte a dazio, in alcuni casi anche di significativa entità. Questo perché l’accordo sottoscritto a dicembre 2020, che ha scongiurato il no-deal, pur prevedendo l’assenza di dazi e contingenti per le merci oggetto di scambi commerciali tra Regno Unito e i Paesi dell’Unione europea, ha posto come condizione l’origine comunitaria – o viceversa britannica – di queste ultime. Per beneficiare del trattamento preferenziale, le imprese devono quindi provare che i propri prodotti rispettino la regola.
Quali sono le reazioni della nostra industry di fronte a queste criticità?
Alcune aziende italiane stanno rivedendo le proprie catene di produzione e investendo in ricerca e sviluppo, nel tentativo di sostituire la componente extra Ue o almeno riportarla ai livelli accettabili che garantiscono l’annullamento del dazio. Speriamo, quindi, tutti in ulteriori accordi commerciali che consentano l’estensione del sistema del trattamento preferenziale anche ai beni oggetto di scambio tra Ue e Regno Unito che incorporano materie prime, componenti e ingredienti provenienti da Paesi terzi.
Questo è l’unico fianco scoperto nei confronti del mercato britannico?
Vi sono in effetti novità su cui dovremo concentrare la nostra attenzione: penso, per esempio, agli accordi commerciali del Regno Unito con i Paesi terzi, già in fase di negoziato, che faranno aumentare la concorrenza nei confronti delle nostre produzioni. Dovremo perciò rafforzare le iniziative promozionali e trovare nuovi mercati di sbocco per i prodotti del made in Italy agroalimentare. In ogni caso, la Gran Bretagna resta un mercato di primo piano per l’Italia: è il 4° Paese di destinazione per i prodotti alimentari. ICE Agenzia intende dunque continuare a sostenere le imprese italiane di settore nel Regno Unito con una serie di iniziative, come la Borsa Vini Londra o il World Pasta Day. Così come si impegna a seguire da vicino tutto ciò che riguarda la Brexit attraverso il desk presso l’Ufficio ICE di Londra, che fornisce assistenza in tempo reale alle nostre aziende, formazione sia attraverso il web sia attraverso la newsletter che aggiorna gli utenti sulle novità.
Passiamo agli Usa: come si è mosso il nostro export in questo complicato 2020?
Lo scorso anno i flussi di merci verso gli USA, 3° Paese di destinazione dell’export di settore, hanno sofferto dell’impatto combinato della pandemia globale – con la conseguente disruption in termini di logistica, approvvigionamenti e scambi – e dei dazi aggiuntivi imposti nel 2019 su alcune categorie di prodotto estremamente importanti per il nostro food & beverage, come formaggi, prosciutti, liquori e spirits. Tuttavia il settore agroalimentare ha pagato uno scotto inferiore rispetto ad altri, riportando nel periodo gennaio-ottobre un dato tendenziale del +3,5 per cento. Il calo registrato per alcune categorie di prodotto, infatti, è stato compensato dal giovamento di cui hanno goduto altre categorie, grazie all’affermazione e alla crescita delle nuove modalità di consumo e-commerce e digitale, su cui anche ICE ha puntato attraverso accordi con piattaforme importanti nell’e-commerce come Amazon, con cui è in corso un importante progetto.
L’amministrazione Biden potrebbe dare una nuova spinta allo scambio commerciale tra Italia e Stati Uniti, con immaginabili benefici per il nostro food & beverage?
Le prime mosse dell’amministrazione Biden non hanno determinato un cambiamento nello scenario delle misure daziarie. Tuttavia abbiamo motivo di pensare che le misure di politica economica allo studio libereranno risorse con investimenti importanti che potranno far ripartire l’economia degli Stati Uniti, generando quelle condizioni necessarie a imprimere una spinta per una forte crescita del food & wine Made in Italy nel mercato statunitense che, ricordo, fino al 2020 era cresciuto ininterrottamente per quattro anni di seguito. Non dimentichiamo che l’agroalimentare italiano gode negli Stati Uniti di un’ottima reputazione e questo ci permette di immaginare non solo un new normal con il pieno recupero delle posizioni guadagnate prima della pandemia, ma anche una crescita in considerazione dei nuovi trend in progressiva affermazione sul mercato quali il salutismo, l’approccio green e la sustainability. In questo scenario, ICE prosegue intanto con forza l’attività promozionale sul mercato Usa, attraverso la realizzazione di campagne di comunicazione e di attività di formazione per le imprese italiane e per i consumatori americani, in attesa che i grandi eventi fieristici di settore, italiani e locali, riprendano a pieno ritmo, fornendo così l’occasione per riattivare migliaia e migliaia di contatti tra le imprese italiane e il mondo del business Usa.
Spostandoci a est, quali opportunità può riservare il mercato cinese?
La Cina ormai rappresenta il primo mercato al mondo per i prodotti agroalimentari grazie alla crescita del reddito pro capite e alla diversificazione dei consumi. Nei primi dieci mesi del 2020, la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane su questo mercato ha fatto segnare un ottimo +15,7% rispetto allo stesso periodo del 2019. A essere particolarmente richiesti sono i prodotti base della dieta mediterranea come vino, pasta e olio extravergine di oliva. E guardando avanti, il mercato cinese dei prodotti food & beverage è destinato a esprimere un ulteriore potenziale di crescita nei prossimi anni, favorito dall’evoluzione degli stili di vita, dalla crescita della classe media e dai processi di urbanizzazione, nonché dal progressivo sviluppo dei canali di distribuzione, soprattutto digitali. Con la nuova fase di accelerata ripresa successiva alla crisi sanitaria, le nostre imprese dovranno insomma prepararsi a intercettare le opportunità di questo mercato attraverso un approccio strutturato e più sofisticato. Tra i vari fattori da prendere in considerazione, oltre alle peculiarità del mercato e allo scenario normativo e regolamentare su cui i quattro Uffici ICE in Cina sono pronti a fornire la più ampia assistenza, vi è sempre più la necessità di utilizzare una strategia multicanale offline e online che preveda un mix distributivo coerente tra dettaglio tradizionale ed e-commerce. E proprio in questa prospettiva, ICE ha stipulato accordi con le più grandi piattaforme e-commerce attive nel Paese: Tmall di Alibaba, JingDong, WeChat, Alibaba.
E quali sono invece le potenzialità della Russia?
Qui la crisi economica seguita alla pandemia si è fatta sentire di più, determinando un peggioramento della domanda dei consumatori a causa di un continuo calo dei redditi delle famiglie e dell’aumento della disoccupazione. Nei primi dieci mesi del 2020 per i nostri prodotti agroalimentari però, che pure già scontavano in parte l’embargo verso la Ue, il dato tendenziale è rimasto positivo: +4,7%. Una parte delle perdite è stata infatti compensata dagli aumenti delle vendite riconducibili ai comparti non soggetti a embargo. Pur nell’attuale fase particolare, quindi, esiste un buon potenziale di mercato per i prodotti alimentari italiani. L’Italia conserva la propria leadership come fornitore della Federazione Russa per pasta, olio d’oliva e caffè torrefatto. I consumatori russi hanno un’ottima immagine della cucina italiana e preferiscono il prodotto italiano associandolo a uno stile di vita sano, piacevole e sofisticato. Tutte le ricerche di mercato indicano la nostra cucina al terzo posto nelle preferenze dei russi, dopo quella nazionale e quella caucasica. Pertanto, dobbiamo continuare a presidiare il mercato per mantenere le quote nei settori in cui siamo leader e, auspicabilmente, incrementarle negli altri, anche in quelli in espansione come il bio o l’alimentazione per l’infanzia, che rappresentano una nuova sfida per le imprese italiane, chiamate a servire nuove tipologie di consumatori.
Quali iniziative ha messo in campo ICE a sostegno delle esportazioni delle aziende italiane?
Già prima del Covid, ICE Agenzia era impegnata in un’azione di sistema che ha visto rafforzata la collaborazione con le imprese della filiera, non solo nell’industria di trasformazione, con Federalimentare e Filiera Italia, ma anche nella produzione agricola con Coldiretti, Confagricoltura, CIA e soprattutto con il MIPAAF. Abbiamo poi varato iniziative per facilitare l’accesso delle Pmi ai nostri servizi: mi riferisco, per esempio, ai flying desk con i nostri funzionari presenti una volta a settimana in tutte le Regioni presso i nostri partner di sistema come CDP, Regioni e CCIA. E si deve considerare che circa il 40% delle imprese assistite appartengono proprio al settore agroalimentare ed enologico. Allo scoppio della pandemia abbiamo inoltre attivato una serie di azioni volte ad aiutare le Pmi italiane a esportare i propri prodotti all’estero nonostante la congiuntura sfavorevole. Tra queste, la gratuità dei servizi di avvio all’export per le imprese fino a 100 addetti e la partecipazione gratuita alle collettive ICE all’estero fino a tutto il 2021 con il primo modulo espositivo. Infine, abbiamo lanciato il portale export.gov.it, un unico punto di accesso per le imprese al sistema di supporto con MAECI, Sace, Simest, cui si aggiungeranno Regioni e Camere di Commercio. Questo strumento toglierà alle aziende il grattacapo di dover sapere a chi rivolgersi per quale tipo di servizio e ci consentirà di raggiungere un maggior numero di imprese. Abbiamo poi intensificato l’impegno nel concludere accordi distributivi con le maggiori piattaforme e-commerce mondiali e con le reti della Gdo sia fisiche sia digitali per incrementare la riconoscibilità e la visibilità dei prodotti italiani e favorirne la distribuzione e le vendite. A oggi abbiamo un portafoglio di 26 accordi stretti in 14 Paesi con le maggiori piattaforme per un investimento globale di circa 37 milioni di euro. ICE è anche molto coinvolta nel Patto per l’Export che la Farnesina ha firmato nel giugno scorso con enti, Regioni, associazioni di categoria e amministrazioni per rilanciare il Made in Italy nel mondo dopo la crisi sanitaria. In linea con il Patto che spinge verso la ripartenza accelerando l’azione di sistema, ICE ha messo in atto molte iniziative, dal supporto al sistema fieristico con la piattaforma Smart 365 alla formazione per gli export manager digitali, dal grande piano di comunicazione per sostenere le esportazioni italiane nel settore agroalimentare colpito dall’emergenza sanitaria fino all’e-commerce. Si tratta di uno sforzo di grande portata e ci aspettiamo un sostegno parallelo da parte della Ue in questo periodo in cui tutti i Paesi del mondo sono ancora fortemente impegnati a contrastare la diffusione della pandemia a un anno dalla sua comparsa.
Ci spieghi meglio: quali sono le azioni che ICE auspica siano sostenute dall’Ue?
È importante che la Commissione europea prosegua la sua attività negoziale volta alla sottoscrizione degli accordi commerciali di libero scambio come anche l’incremento degli accordi di mutuo riconoscimento e di tutela dei prodotti a denominazione d’origine (DOP, IGP e STG), a vantaggio della qualità e dell’autenticità del Made in Italy.
(Manuela Falchero)