Un seminario interno di Symbola a Conegliano Valdobbiadene, patria del prosecco, ha consentito di fare il punto sul significato percepito della sostenibilità che in una ricerca di Ipsos presentata dal suo presidente Nando Pagnoncelli appare come indissolubilmente legata al concetto di qualità. Dunque, per cominciare: Sostenibilità è Qualità.



Il 78 per cento degli intervistati dichiara di avere del binomio una buona o discreta conoscenza. Ne deriva che solo il 22 per cento del campione ascoltato ammette di non avere alcuna familiarità con il fenomeno o di averla distorta. La consapevolezza è molto cresciuta negli anni che vanno dal 2014 al 2019 per poi stabilizzarsi.



Tutte le componenti della sostenibilità hanno valore per i cittadini e in proporzioni abbastanza vicine. Se una preferenza si riscontra, tuttavia, è per il dato sociale (37 per cento) che sopravanza di poco – nella scelta di chi ha risposto al questionario – gli aspetti legati all’ambiente (34 per cento) e all’economia (29 per cento).

Tentando un affondo nel campo della sostenibilità ambientale, che tiene in pancia il grande tema del cambiamento climatico, le risposte alla domanda su chi debba principalmente prendersi carico del problema e trovare le soluzioni pongono al primo posto il Governo, al secondo le aziende, al terzo i cittadini consumatori.



Questi ultimi, in particolare, affermano di aver raggiunto un’elevata predisposizione nel prendere decisioni quotidiane rispettose dell’ambiente. Per esempio, usano meno di prima l’aria condizionata, acquistano prodotti con imballaggi ridotti o riciclabili, non prendono l’aereo (ma qui la ragione potrebbe essere di altro segno).

Nonostante l’indubitabile avanzamento della sensibilità degli italiani nei confronti dell’argomento – o forse proprio a causa di questo – si fa strada anche un certo scetticismo per il sospetto che siano in aumento i comportamenti virtuosi solo di facciata. Gli indifferenti restano stabili tra il 17 e il 18 per cento della popolazione.

A spingere verso pratiche sostenibili sono in particolare tre motori: la paura, l’etica, la ricerca della qualità. Quest’ultima pesa per il 56,5 per cento ed è una buona notizia. L’etica si attesta sul 6,5 per cento ed è una notizia cattiva. La paura, legata soprattutto alle conseguenze degli stravolgimenti del clima, in questo particolare caso fa 37.

Se le aziende si pongono l’interrogativo di come e quanto i loro sforzi nel produrre in modo sostenibile siano compresi dalla clientela, il responso indica che il grado di difficoltà è ancora alto, pari al 60 per cento. Ma va migliorando se si tiene conto che nel 2021 si attestava al 67 per cento e nel 2018 al 74 per cento.

Un’incursione nel settore viti-vinicolo, in omaggio al luogo del confronto, indica che il 71 per cento dei consumatori è disposto a pagare di più per la bontà del prodotto e il 44 per cento si mostra sensibile alle pratiche di sostenibilità. In generale, mai come in questo caso i due termini si sovrappongono.

Scendendo nello specifico dei comparti, un’indagine condotta in ventidue Paesi stranieri informa che l’eccellenza italiana si ravvisa principalmente nell’universo del vino e della birra che precede il turismo, la moda, l’arte e la cultura, l’agroalimentare, i gioielli e gli orologi, le automobili, il design, l’arredamento, il cinema.

Soprattutto i ceti elevati fanno molto caso all’origine dei beni che acquistano e il Made in Italy rappresenta una motivazione crescente fino a raggiungere il 67 per cento. La percentuale si ferma a 48 – comunque un livello molto alto – nella classe media. In ogni caso è in salita l’abitudine di controllare l’etichetta.

Persiste la piaga della contraffazione che colpisce soprattutto la fascia alta dei compratori all’estero che hanno ammesso di essere caduti nel tranello spesso nel 20 per cento dei casi, qualche volta nel 35 e raramente nel 20. Un’informazione che mostra quanto spazio ci sia per il successo dei prodotti autentici.

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