«Il dolore, come la paura, non migliora nessuno, di certo non me»: è netto e non usa mezzi termini Ezio Bosso nel libro “Faccio musica”, volume pubblicato postumo e con diversi estratti oggi riportati su Repubblica. Il grande maestro d’orchestra, compositore e pianista scomparso nel 2020 per una malattia neurodegenerativa aiuta a “spezzare” alcune idiosincrasie che spesso si affollano sul tema del dolore, della paura o della malattia, elementi sempre più “consueti” in un’epoca segnata da morte e pandemia.



Con il consueto garbo ma anche senza peli sulla lingua, Bosso elimina ogni banalità e scrive «La malattia non migliora nessuno È come un fiume carsico, per un po’ scompare, ti sembra scomparso, poi riaffiora e spesso non dai nemici, ma proprio dagli amici, anche quelli che nel fondo lo sai che ti vogliono bene. Fa rabbia. Mi fa rabbia». Se per secoli essere “più buoni” alcuni si sono convinti ai sacrifici più terribili, Bosso ribadisce come «ci siamo fustigati, abbiamo digiunato, rinunciato alle cose belle della vita, allora è impossibile estirpare questa idea che il dolore redima, migliori, ci renda esseri superiori, come se la vita, che tanto veneriamo, in sé fosse peccato. E chi sono io per negare una convinzione radicata nei millenni, per dire che gli stiliti non erano migliori solo perché emaciati».



LE MEMORIE DI EZIO BOSSO

Per Ezio Bosso il dolore – che purtroppo lui ha vissuto e testimoniato fino all’ultimo dei suoi secondi sulla Terra – non migliora affatto, «nessuno è più buono se soffre». Addirittura, scrive ancora il compianto compositore, «Per alcuni nemici poi il dolore sembra un privilegio: ha successo perché soffre. Bestialità. Svilimento di ciò che faccio. Nessun rispetto, per se stessi in primis». Un pugno nell’occhio al politicamente (e artisticamente) corretto quando Bosso se la prende con gli artisti che invece di parlare delle loro opere chiacchierano delle loro malattie/sfortune: «anche lì, chiunque non stia bene si espone, lo dice, comunicati stampa di gente, di «artisti» che parlano di malattia invece che di ciò che fanno. La lista è lunga. Ci marciano. E allora perché io dovrei essere diverso da quelli. C’ è una logica. Pessima. Ma pur sempre logica».



Bellissimo il passaggio sulla musica e la bellezza, con la consueta e immancabile autoironia di cui il maestro Bosso ne era un illustre esempio: «La musica rende belli Qui vorrei dire che la musica ci rende belli. Io per esempio sono bruttino, ma quando dirigo sembro bellino. E mi sento anche bellino, supero i complessi estetici del mio stato, come dico sempre, trascendo me stesso anche esteticamente. E sono giunto alla conclusione che se un direttore è bello quando dirige abilmente è anche bravo e da ascoltare, perché in quella bellezza ottenuta all’ abbandono alla musica, alla trascendenza del sé, c’ è già un sintomo di approccio corretto».