Negli ultimi giorni, ad appena una settimana dal blocco delle attività produttive “non essenziali”, stanno emergendo tutte le profonde criticità di queste misure e quanto siano nefaste non solo per l’economia, ma soprattutto per il corretto funzionamento della logistica e persino delle attività essenziali. Sta saltando, per esempio, la catena del riciclo della plastica con il rischio che i depositi si riempiano e semplicemente non si possa più raccogliere la spazzatura. Le aziende che comprano plastica riciclata, dai cementifici ai produttori di giocattoli, sono chiuse, ma la gente continua a comprare confezioni di pollo o di verdura; anzi, in molti supermercati per questioni igieniche e di velocità della spesa alcuni beni si trovano già confezionati.



Ieri Acciai speciali Terni segnalava come a causa dell’inserimento della loro attività tra quelle non essenziali non solo si rischi di perdere per sempre quote di mercato in Europa, visto che Francia e Germania considerano queste attività essenziali e hanno tenuto aperte le fabbriche, ma addirittura di compromettere la fornitura di materiali che finiscono in bombole d’ossigeno, letti di ospedale e persino materiale medico. Certo non si può tenere accesa un’acciaieria per una produzione che è una piccola percentuale della capacità produttiva. Nel caso segnalato da Acciai speciali Terni (più di duemila occupati in Italia) si lamenta che la chiusura sia avvenuta nonostante la presenza di telecamere per la lettura della temperatura corporea e con un’ampia disponibilità a garantire la sicurezza dei lavoratori. Stiamo parlando di migliaia di dipendenti. Quale imprenditore oggi non sarebbe disposto ad ascoltare misure che evitano il fallimento della sua azienda?



Il grido d’allarme continua toccando gli agricoltori che non hanno visto un singolo aiuto dallo Stato italiano, in termini di mutui o leasing per le macchine, e che non avranno accesso alla manodopera, di solito dall’est europeo, che tutti gli anni arriva per la raccolta. Il Governo non ha ancora predisposto strumenti normativi e di flessibilità senza i quali il raccolto marcirà nei campi. Nei prossimi giorni scopriremo quante filiere anche essenziali siano messe in ginocchio da una chiusura totale che non ha eguali nel mondo; nessun Governo al mondo con un minimo di responsabilità politica si è avventurato su questa strada.



Un Governo debole che ha gestito l’emergenza con una serie di errori clamorosi, dai tre esodi incontrollati verso il sud fino alle quattro autocertificazioni, oggi non vuole prendersi alcuna responsabilità e alcun rischio e quindi chiude tutto. Una politica non solo pericolosissima ma miope che intacca profondamente anche le filiere essenziali e regala quote di mercato ai concorrenti europei, francesi e tedeschi, che in più stanziano centinaia di miliardi per imprese e famiglie. La ripresa graduale stante queste premesse e l’incompetenza sarà gradualissima con impatti devastanti sull’economia e sull’autocapacità del sistema italiano di rispondere alla emergenza. La seconda manifattura d’Europa non solo non riesce, ma si rifiuta di pensare a un modo che concili e tenga insieme tutto. Le capacità ci sono eccome, lo si vede dalla rapidità con cui molte industrie hanno riconvertito la produzione per poi arrendersi di fronte alla burocrazia delle autorizzazioni.

In questo modo non andrà tutto bene. Gli italiani lasciati a casa stanno assistendo impotenti alla distruzione della loro economia e il clima da vacanza forzata finirà molto presto. Sarà un risveglio amarissimo.

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