Fabio Capello e lo scudetto della Roma: il retroscena
Il calcio è stata, ed è tutt’ora, la grande passione di Fabio Capello. Allenatore senza età, protagonista di successi clamorosi sul campo grazie al suo talento e alla sua capacità di saper dialogare con i propri calciatori, è uno dei pilastri del nostro calcio. In un’intervista concessa al Corriere della Sera, in cui ha affrontato anche alcuni aspetti privati della sua vita familiare, ha toccato anche numerosi temi calcistici che gli stanno davvero a cuore. Uno su tutti, lo scudetto vinto con la Roma.
“Sono stati cinque anni favolosi, anche se vissuti da un’angolatura particolare. Alla ricerca della migliore sistemazione, son rimasto nell’appartamento a Mostacciano, con vista sul raccordo anulare. Ma i festeggiamenti li hanno fatti solo i tifosi” ha ammesso. A macchiare quella festa, infatti, ci fu un aspetto che Capello faticò a digerire: “Ero abituato, negli altri club, a feste pazzesche fino alle 5 del mattino, con le famiglie. Invece la cosa assurda fu che non si organizzò una cena a livello societario. Quella sera andai al ristorante per i fatti miei. Quando ci fu l’evento al Circo Massimo, avevo già comprato i biglietti per uno dei miei viaggi avventurosi e, offeso, partii“.
Fabio Capello: “Ronaldo il Fenomeno una leggenda“. E su Gullit…
Oltre ai gloriosi anni di Roma, culminati con la memorabile conquista dello scudetto, Fabio Capello ha avuto anche l’occasione di allenare alcuni giganti del nostro calcio. Nel corso dell’intervista, in particolare, ha spiegato quale leggenda del pallone sceglierebbe fra le tante con cui ha avuto modo di collaborare: “Ronaldo il Fenomeno“.
Ma ci sono stati anche alcuni retroscena di spogliatoio, spesso taciuti, che hanno segnato nel profondo l’esperienza di Capello in veste di allenatore. Come una clamorosa litigata con Ruud Gullit, talento olandese che militò nel Milan, che allenò e con il quale si scontrò: “Con Gullit quasi venni alle mani, non ricordo se per un ritardo. Sono rigido nel pretendere il rispetto delle regole, ai miei giocatori dicevo di trattare gli inservienti come volevano che i loro genitori venissero trattati dagli altri“.