Nel suo ultimo intervento presso la Camera dei Deputati il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Fabio Pinelli ha riflettuto a lungo sulla figura di Giacomo Matteotti – alla luce della presentazione dell’ultimo voluto di Daniele Negri dedicato alle riflessioni politico giuridiche matteottiane – per stimolare una riflessione sull’attuale andamento del sistema Giustizia a fronte di quei preziosi insegnamenti. Il punto di partenza di Fabio Pinelli – non a caso – e proprio il nostro attuale sistema Giustizia sul quale si chiede “se la comunità di giuristi abbia adeguatamente custodito la legalità processuale” tanto cara a Matteotti e che non traspare per nulla nel “testo legislativo (l’art. 425 c.p.p.)che imponeva il proscioglimento ‘anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio'”, che ha costretto ad un rapido intervento correttivo dato che “la giurisprudenza ne ha offerto una lettura riduttiva”.
Ora più che mai in un contesto sempre più conflittuale diventa (o torna) importante quel “metodo ermeneutico di Matteotti e il valore che egli attribuisce alla certezza del diritto”, contrapposta – spiega Fabio Pinelli – a “quella che potrebbe chiamarsi la ‘retorica della tecnica‘, il dogmatismo che impiega astratti concetti elaborati alla bisogna per dare sostegno alle personali opinioni dell’autore che non sa sistematizzare”. Il politico in veste di giurista era in particolare preoccupato dal “principio di legalità [che] esalta il vincolo alla più esatta lettura del testo normativo” e richiede, spiega ancora Fabio Pinelli, “un’istanza ultima che assicuri l’uniforme interpretazione e applicazione della legge“.
“Insomma”, sintetizza il vice del CSM, “per Matteotti l’uso di tecniche eversive del principio di legalità e l’adozione di soluzioni interpretative rischiano di produrre un danno peggiore del preteso rimedio che le stesse vorrebbero porre ad eventuali iniquità emerse nei singoli casi concreti”, perché secondo il politico – ed è concorde anche Fabio Pinelli – “una volta che venga infranto il vincolo della legge si finirebbe consegnati alle personali concezioni della giustizia e della verità dei giudici (..) con il prodursi di ingiustizie peggiori“.
Fabio Pinelli: “Le interpretazioni personali dei giudici alle leggi danneggiano i cittadini e il servizio-giustizia”
“Anche oggi”, riflette Fabio Pinelli lasciando un attimo da parte Matteotti, “si avverte la tentazione a superare i rigidi formalismi giuridici per dare spazio a quella che viene ritenuta la ‘giustizia del caso concreto”; così come è sempre più “difficile ricostruire il testo normativo di riferimento e, quindi, il vincolo che ne deriva” per via di diversi fattori come “la mole della produzione legislativa”, “l’intreccio di fonti nazionali e sovranazionali” e anche – e forse soprattutto – “il ruolo che riveste il ‘diritto giurisprudenziale’ delle diverse corti in presenta di confini sempre meno evidenti”, denuncia Fabio Pinelli, “tra interpretazioni conformi, ‘non applicazione’ del diritto nazionale e necessità del giudice di sollevare questioni di legittimità costituzionale”.
Nel contesto attuale, secondo il vice del CSM, si assiste sempre più spesso “le sentenze dipendono in modo decisivo da elementi extra-testuali ed extra-normativi cui il giudice-interprete risulta particolarmente sensibile” compromettendo – elenca Fabio Pinelli – “la ‘prevedibilità dell’applicazione'” e anche “la ‘prevedibilità dell’interpretazione'” con l’esito che “l’overruling o il consolidarsi di leading precedents risulta sostanzialmente rimesso all’incontrollabile e spesso imprevedibile atteggiarsi della sensibilità giudiziale a certi orientamenti“.
Non a caso, continua nel lungo intervento, “sembra sempre più forte oggi – rispetto all’epoca di Matteotti – la tendenza degli interpreti a farsi portatori di istanze etiche che si intendono far valere con il diritto, fino a rendere sempre più incerti e porosi i rapporti tra politica e giurisdizione”. La conseguenza? Secondo Fabio Pinelli è che si rischia di degenerare “in una pericolosa serie di conflitti di ‘potere’, di polemiche tra i ‘poteri’ con distruttivi e reciproci effetti delegittimanti, a tutto detrimento dei cittadini e del servizio-giustizia che deve essere loro reso“.