L’indimenticato cantautore Fabrizio De Andrè torna ad essere anche questa sera protagonista della nuova puntata di Techetechetè, dopo l’omaggio a lui riservato solo qualche settimana fa. Nato a Genova nel 1940, Faber – appellativo che gli attribuì l’amico Paolo Villaggio – si è spento all’età di 59 anni lasciandoci in eredità un repertorio incredibile di capolavori. Per quaranta anni De Andrè si è dedicato totalmente alla sua attività artistica anche molto proficua che lo portò a pubblicare ben quattordici album in studio ed alcuni singoli. Gli emarginati, i ribelli e le prostitute furono al centro delle storie narrate e trasformate in vere e proprie poesie e non è un caso se infatti le ritroviamo oggi in varie antologie scolastiche di letteratura. Degno rappresentante della Scuola Genovese (insieme ad altri nomi del calibro di Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco), Fabrizio De Andrè ha rappresentato uno dei maggiori artisti ad essere acclamati anche dopo la morte al punto da essere stati dedicati a lui parchi, teatri, vie e piazze. Grande importanza ha sempre dato alla lingua ligure facendo prevalere anche le sue idee anarchiche e pacifiste. Ancora oggi, si rinnovano gli omaggi a lui dedicati non solo televisivamente parlando ma anche in occasione di varie manifestazioni in tutta Italia.



FABRIZIO DE ANDRÈ, “PECORA NERA” DELLA FAMIGLIA E GRANDE POETA

Fabrizio De Andrè ci lasciò la notte dell’11 gennaio a Milano, stroncato da un tumore. Da quel momento, Faber divenne ancora di più simbolo d’Italia, come emerse dalle parole della sua stessa famiglia che, dopo la notizia della morte e nell’annunciare i funerali che si sarebbero tenuti a Genova spiegò: “Fabrizio appartiene non solo alla famiglia, ma a tutti quelli che lo hanno amato”. Dopo la sua scomparsa, il grande amico sin dall’infanzia, Paolo Villaggio, lo volle ricordare con poche ma importanti parole: “Era intelligente, geniale, allegro, spiritoso, squinternato, un po’ vanitoso, snob: non era triste, come voleva l’immagine pubblica che gli avevano dipinto addosso. Era un anarchico, grande poeta”. Un’amicizia, la loro, nata sin dalla tenera età e che poi si era andata consolidandosi nel corso degli anni anche in virtù di una “comunanza ideale e caratteriale”. I due, infatti, si definivano caratterialmente simili, “eravamo tutti e due squinternati, entrambi ‘pecore nere’ delle rispettive famiglie”. Pur avendo iniziato insieme a lavorare, negli anni i due non si persero mai realmente di vista.

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