Fabrizio Maiello: “Gli occhi di Zola mi hanno cambiato la vita”
“Di vite ne ho vissute almeno tre, la mia esistenza è passata per un pallone e se ora sono un uomo diverso, è perché un giorno, in un autogrill, ho incrociato gli occhi buoni di Gianfranco Zola, che stavo seguendo perché volevo rapirlo”. Sono parole che possono sembrare bizzarre, forse strane, quelle di Fabrizio Maiello, che qualche settimana fa a Cagliari ha incontrato proprio il fantasista che ha fatto la storia di vari club, come Parma e Chelsea. “Per molto tempo ho vissuto per il pallone e anche ora, a 61 anni, quando vado nelle scuole per raccontare ai ragazzi la mia storia, arrivo palleggiando” racconta a Repubblica l’uomo, cresciuto in Brianza, a Cesano Maderno, da genitori napoletani.
“Ho iniziato piccolissimo, e dall’oratorio sono arrivato alle giovanili del Monza. A scuola ero scarso, ma non ci pensavo. Intorno a me succedeva di tutto, la provincia di Milano alla fine degli anni ’70, non era tranquilla, è il periodo della banda dei Vallanzasca, di Turatello, dei catanesi. L’eroina scorreva in grandi quantità anche nel mio quartiere. Amici del mio palazzo, compagni di scuola, erano già finiti più volte in carcere per piccoli scippi e rapine. Ecco, io mi sono tenuto lontano da tutto questo finché c’è stato il pallone” racconta Fabrizio Maiello. Poi, l’infortunio e l’inizio del baratro: “A 16 anni la mia vita cambia di botto, mi spacco i legamenti del ginocchio, anche se mi fossi sottoposto a intervento non avrei più potuto giocare a pallone. In quel momento si è rotto qualcosa anche nella mia testa. Rifiutai l’operazione, ruppi con i miei genitori e passavo le giornate fuori casa con amici più vissuti di me, a cui ho chiesi aiuto per il primo buco”.
“Così progettammo il rapimento di Gianfranco Zola”
Dopo l’infortunio, per Fabrizio Maiello inizia la discesa ripida, con la droga e i primi reati, fino al carcere: “Entravo e uscivo, non mi importava di nulla. Pensavo fosse l’inferno, finché non sono finito in un manicomio criminale. In quel periodo in tanti si fingevano matti, dieci anni al massimo e sei fuori così mi dicevano, devi dichiarare che senti le voci ed è fatta. Ho voluto provare: nel ’91, dopo un breve periodo fuori, finisco di nuovo a San Vittore. Sono agitato, appena arriva il giudice per la convalida dell’arresto, afferro una sedia e gli spacco la testa. Vengo bloccato, massacrato di botte e legato. E finisco all’Opg di Reggio Emilia”.
Proprio all’Opg di Reggio Emilia, Fabrizio Maiello comincia a maturare l’idea di sequestrare Zola. “In quel periodo, con altri detenuti, pensammo di sequestrare Gianfranco Zola, allora al Parma. Un sequestro lampo e un bel bottino da spartire” rivela. Ma perché proprio lui? “Me lo ha chiesto anche lui, perché me e non, per esempio, Asprilla? Zola era il più forte di tutti, era anche quello che io avrei tanto voluto essere” spiega a Repubblica. Così, si mettono in auto, intercettano Zola in autostrada e lo seguono. “Avremmo dovuto bloccarlo e prelevarlo dall’auto e invece ci spiazza e si ferma a fare rifornimento. Facciamo lo stesso anche noi, mentre Zola parla col benzinaio, scendo dalla macchina e fingo di guardarmi intorno”. Proprio in quel momento il calciatore li vede e si avvicina verso di loro: “I suoi occhi hanno riacceso una lampadina nella mia testa. Frugai in una tasca, presi la carta di identità appena rinnovata e gli chiesi un autografo” spiega.
Maiello: “Dovevo chiedere scusa a Zola”
Dopo il mancato sequestro di Zola, la vita di Fabrizio Maiello riprende e si affaccendano nuovamente arresti, periodi in carcere e rilasci. Fino a quando non incontra Giovanni, “un bambinone di 56 anni che piangeva e si lamentava. Non ce la facevo più a sentirlo, così un giorno dissi al medico dell’Opg che volevo Giovanni con me. Per le sue condizioni generali, mi dissero che poteva campare forse qualche mese, invece ha lasciato il manicomio dopo cinque anni e ha vissuto per altri otto“.
Proprio il carcere ha portato a Fabrizio l’amore: “Mia moglie Daniela l’ho incontrata in manicomio, è infermiera. Ha conosciuto i miei lati peggiori, ma mi ha anche visto con Giovanni e si è innamorata di me”. Nella confessione a cuore aperto, il mancato rapitore del campione racconta: “Ho vissuto tante vite in una, ho fatto del male e ho pagato, ho salvato un amico, ho trovato l’amore all’inferno. Mi restava una cosa in sospeso, chiedere scusa a Gianfranco Zola e ringraziarlo perché i suoi occhi buoni mi hanno salvato”.