Faceapp spopola su tutti i social e qualcuno, non senza molte buone ragioni, si preoccupa delle conseguenze in termini di sicurezza e protezione dell’ennesimo “regalo” di una gigantesca messe di quelli che sono dati biometrici (la nostra faccia non è molto diversa dall’impronta digitale, al punto che può essere utilizzata come password). Le angosce di molti miei colleghi che si occupano di sicurezza informatica spaziano dall’uso di questi dati per addestrare intelligenze artificiali capaci di creare volti fasulli sempre più credibili passando attraverso i rischi di truffe on line per arrivare fino al pericolo di manipolazioni politiche a opera della Russia (l’azienda creatrice di Faceapp ha sede a San Pietroburgo).
Tutto è possibile, ma nessuno spiega che questa è la storia degli ultimi venti anni di Internet, quando qualcuno ha capito due cose fondamentali e strettamente legate tra loro: i dati dei consumatori sono equivalenti al denaro e per ottenerli devi fornire in cambio dei contenuti. La soluzione, assolutamente geniale, è stata quella di fare in modo che le persone delle quali si vogliono le informazioni siano le stesse che producono i contenuti: il tutto con investimenti risibili.
Oggi viviamo in un mondo popolato da miliardi di consumatori che si “consumano” tra loro per una questione di totale inconsapevolezza a partire dal valore enorme dei dati che barattano in cambio di un video (il più delle volte prodotto da essi stessi) o di un servizio della società dell’informazione. Purtroppo questo stato di cose è superabile soltanto con un salto di qualità culturale di cui però non vede alcun segnale.
In questo senso a ben poco servono norme come il Regolamento europeo sulla protezione dei dati perché si preoccupa di tutelarci dopo che abbiamo rinunciato alla nostra privacy, e non prima. Giustamente nessuna legge potrà impedirmi di rivelare a chi voglio anche i dettagli più intimi della mia vita, si tratta di una libertà insopprimibile, ma osservando il funzionamento della società dell’informazione mi viene continuamente in mente la frase attribuita a Jim Morrison: le persone credono di essere libere, ma sono solo libere di crederlo.