Alla sbarra i quattro signori più potenti del web. O troppo potenti nella convinzione di Capitol Hill dove mercoledì scorso si è svolto l’evento dell’anno. Dopo 13 mesi di indagini, la commissione d’inchiesta congressuale statunitense ha torchiato Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sundar Pichai e Tim Cook, vertici rispettivamente di Facebook, Amazon, Google e Apple, accusandoli di pratiche anti-competitive. Le 4 Big Tech, note con l’acronimo Faga, sono considerate i titani dell’economia online che impatta in modo pervasivo il nostro quotidiano, ancora di più con la pandemia. Sono accusate di costruire e consolidare posizioni monopolistiche in barba alle esistenti leggi antistrust. Vanno regolamentate, spezzettate secondo alcuni, come avvenne, decenni fa, con il gigante della telefonia AT&T.



Pescando evidenze in documenti interni aziendali, mail personali, fiumi di testimonianze di ex collaboratori e concorrenti, il fuoco di fila di domande incalzanti è durato oltre cinque ore, toccando diversi comportamenti anti-concorrenziali. A Facebook, per esempio, si rinfaccia l’acquisizione di Instagram e WhatsApp per eliminare potenziali concorrenti. Apple viene accusata di imporre agli sviluppatori terzi condizioni discriminatorie per entrare nell’App Store. Ad Amazon si addebita di pescare nei dati dei venditori terzi che ospita sulla propria piattaforma di compravendita per favorire prodotti con proprio marchio. Mentre si reputa che Google con la sua missione di organizzare l’informazione mondiale, usi per le query di ricerca un metro di rilevanza soggettivo ossia mostri come prime risposte ciò che è più redditizio per se stessa.



Per recuperare in corsa un tornaconto personale dalla prima udienza di questa storica audizione, il presidente Donald Trump finora grande assente dall’inchiesta, interviene dal suo profilo Twitter: Se il Congresso non riesce a portare correttezza e onestà nelle Big Tech, cosa che avrebbe dovuto fare anni fa, lo farò io con dei decreti. A Washington tutti parlano, ma nessuna azione è stata intrapresa per anni, e la gente di questo Paese è stanca di ciò”. Tra le righe traspare l’insofferenza di un esponente politico sempre osteggiato (e dileggiato) dalla Silicon Valley.



Ma non è solo la dimensione economica a essere impattata; poiché queste aziende sono così centrali nella nostra vita, il loro strapotere diventa incompatibile con la democrazia. Ogni singola azione di ciascuna può interessare centinaia di milioni di noi in modi profondi e duraturi, ha sottolineato David Cicilline, Presidente democratico della sottocommissione per l’antitrust.

Da che erano le beniamine del mercato e della finanza, il vento è cambiato. All’inizio sembrava una crociata velleitaria: qualche sparuta voce critica, poi si mobilitarono le associazioni dei consumatori, infine sono intervenuti gli analisti politici e tra cui l’icastico Capitalismo di Sorveglianza coniato dall’economista Shoshana Zuboff per indicare questi colossi che di noi utenti sanno tutto, sanno troppo, per non approfittarsene. L’opinione pubblica – anche più consapevole della propria dipendenza verso le Big Tech tentacolari – ha cambiato attitudine e ora esige chiarezza sul loro modo di far business.

Poco persuasivi spesso i quattro Ceo ripiegavano sulla risposta evasiva “Non mi risulta” senza argomentare ai rilievi avanzati dai deputati agguerriti al punto di pressare con eloquenti paradossi. “Lei ha detto che Amazon si concentra sui clienti; mi spiega quali benefici traggono i clienti dai prezzi spinti verso l’alto per effetto dell’eliminazione del suo principale concorrente?”

Nel tentativo di accattivarsi la simpatia dell’audience, le Big Four hanno optato per una linea difensiva patriottica in chiave anti-asiatica: “Abbiamo avuto successo grazie a questo Paese e per questo Paese” facendo leva sull’antagonismo commerciale con l’hi-tech cinese. Ma in verità a tutti è chiaro che ciascuna a modo proprio, i quattro hanno usato la propria sorveglianza sul traffico web per identificare le minacce della concorrenza e schiacciarle. Il risultato: si è frenata l’innovazione e la crescita di nuovi business con diseconomie e svantaggi per gli utilizzatori finali.

Quale debba essere l’evoluzione dell’Internet Governance per contenere questi keiretsu digitali, i pareri sono divisi. Chi sostiene una maggiore intraprendenza dello Stato e chi invece un decentramento dei poteri. Di certo questa udienza ha chiarito che per come sono oggi, Facebook, Amazon, Google e Apple hanno violato le regole di concorrenza, hanno delle responsabilità e vanno regolamentate. Nelle fasi successive scopriremo come. Soprattutto se sarà a beneficio degli utenti e della società in generale. L’audizione statunitense segna un punto di svolta, ma il via venne dato da questa sponda dell’Atlantico l’anno scorso, quando la Commissione europea inflisse a Google una multa di 1,49 miliardi di euro per abuso di posizione dominante.