Mentre Facebook compie il suo decimo compleanno nel Bel Paese, che, tra alti e bassi, lo ha portato ad avere circa 35 milioni di italiani iscritti, un’altra e ben più interessante questione sembra essere arrivata al punto di svolta. Il progetto Libra, la criptovaluta sponsorizzata dall’azienda di Menlo Park, sembra destinata a essere cestinata o comunque a finire in naftalina. L’iniziativa era stata presentata poco prima dell’estate e oltre a Facebook coinvolgeva player planetari che avrebbero supportato il progetto.
Un tale schieramento di forze aveva prodotto un evento straordinario. Non soltanto i Democratici e i Repubblicani al di là dell’Oceano avevano rinserrato le file schierandosi apertamente contro Libra, ma Stati Uniti ed Europa, che ormai fanno fatica trovare un accordo su qualunque cosa, si sono ritrovati uniti nel mostrare scetticismo e soprattutto preoccupazione. Accade così che tra settembre e ottobre il progetto inizia a perdere i pezzi: prima PayPal si tira indietro e poi arriva il turno di Visa, Mastercard ed E-Bay.
Un segnale forte giunge a fine ottobre, quando Mark Zuckerberg si presenta a un’audizione alla commissione servizi finanziaria della Camera e dichiara che Libra è diventato un progetto “complesso e rischioso”. Osservando la vicenda appare piuttosto chiaro che il fondatore di Facebook abbia peccato più di ingenuità che di arroganza. Sembra strano che non abbia potuto immaginare che stava invadendo il campo dei governi e delle banche centrali di mezzo mondo, peraltro un terreno dove si gioca la partita dell’economia mondiale, tema sul quale gli Stati stanno combattendo per sopravvivere anche come istituzioni. In questo contesto il “terzo incomodo” ha messo tutti d’accordo sul fatto che non fosse gradito.
Questa considerazione va ben oltre le critiche in ordine alle finalità di lucro della grande alleanza (un obiettivo sancito statutariamente per tutti i partecipanti all’operazione), rese piuttosto evidenti anche dalla scelta della sede in Svizzera. Se anche Libra finirà nel dimenticatoio non possiamo negare l’evidenza del significato della vicenda. La società dell’informazione ha fatto emergere una nuova “specie” che non è più multinazionale, ma sovranazionale e come tale immagina di potere negoziare con i governi alla pari.
Facebook, Amazon o Google nel mondo oltre lo schermo sono le vere superpotenze, e il fatto che una di loro abbia anche soltanto potuto pensare di avocare per sé una prerogativa tipica degli Stati sovrani offre una misura di quanto potrebbe accadere domani. Chissà, tra qualche anno qualcuno di loro potrebbe ritenere che sia giunto il momento di avere un seggio all’Onu.