Il lupo perderà il pelo, ma il vizio? Una domanda che sorge spontanea dopo la rinascita di Facebook con il nome di Meta. Alla fine Zuckerberg ha scelto di ribattezzare la sua creatura con il prefisso della nuova frontiera del più grande gruppo mondiale di social network. Il metaverso è termine di origine fantascientifica, coniato dallo scrittore Neal Stephenson nel suo libro Snow Crash del 1992. L’autore lo vede come evoluzione tridimensionale del ciberspazio, presentandolo come un luogo virtuale frequentato dalle proiezioni digitali dei suoi utenti.



Il fondatore di Facebook lo presenta dunque come una sorta di evoluzione della specie. Una nuova realtà immersiva, tridimensionale in cui gli utenti vivranno attraverso un proprio avatar.  Al di là dell’aspetto immersivo, l’idea non è nuova e non soltanto etimologicamente. Il precedente più noto è Second Life arrivato fino a contare un milione di utenti che si muovevano tramite il proprio avatar in un mondo virtuale. Ovviamente la tecnologia attuale e soprattutto quella futura promettono un tipo di esperienza infinitamente più forte e questo ci porta ad affrontare il tema del medium. 



Gli accademici Jay D. Bolter e Richard Grusin coniarono il termine rimediazione nel 1999 per riferirsi alla commistione dei diversi media e delle loro caratteristiche (pensiamo alla stretta relazione tra internet e la televisione). Il metaverso sembra porsi come punto estrema di convergenza con la particolare caratteristica della trasparenza, ovvero una situazione per cui il medium fa di tutto per nascondersi, ci offre l’illusione di avere un accesso diretto alla realtà e questo ci porterà a non porci il problema del filtro e della selezione del reale che esiste pur nel suo essere invisibile. Si tratta di portare all’estremo un’esperienza sulla quale raramente riflettiamo.



Nel momento in cui vediamo un servizio televisivo abbiamo l’impressione di assistere a un evento nella sua interezza e non teniamo in considerazione il fatto che si tratta della ripresa di un operatore. Esiste quindi qualcuno che sceglie cosa farci o non farci vedere, creando comunque una cornice tra quanto si trova dentro e fuori dal campo della ripresa. L’implicazione è molto semplice: quanto viene escluso potrebbe essere altrettanto importante di ciò che è stato selezionato, di conseguenza il medium ci condiziona, indirizza e alla fine può determinare le nostre scelte.

Da questo presupposto la nuova creatura di Zuckerberg non soltanto riproporrebbe gli stessi problemi di un qualsiasi social network su una scala più grande (il tema delle dipendenze, le fake news, e via dicendo), ma forse ne aggiungerebbe di nuovi, romanzi e film di fantascienza distopici non mancano a partire da Matrix.

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