Erano più o meno la stessa cifra, i soldati americani impiegati nel 2003 da George W. Bush per invadere l’Iraq. Altri 120mila soldati sarebbero adesso pronti a essere inviati di nuovo in quella zona del mondo, nel Golfo, in esplicita funzione anti-iraniana. Le coincidenze spaventano, ma sarebbe stata questa la decisione presa in una riunione alla Casa Bianca, sostenuta dal consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton, da sempre acerrimo nemico dell’Iran. La notizia è stata data dal New York Times e Trump l’ha smentita; in ogni caso potrebbe essere stata costruita ad arte, motivo in più per essere preoccupati, visti i rapporti tesi tra Usa e Iran e il precedente storico assai poco rassicurante. Dal punto di vista pratico, ci ha spiegato Andrea Margelletti, presidente del Ce.Si (Centro studi internazionali), si tratta di un’operazione piuttosto impraticabile: è un numero altissimo di uomini per spostare i quali ci vorrebbero mesi e che soprattutto nessun paese arabo è disposto a ospitare, sia per l’alto numero che per ragioni religiose.
Secondo la Casa Bianca dietro ai recenti sabotaggi di due petroliere saudite nel Golfo ci sarebbe l’Iran. Secondo il NYT Trump sarebbe pronto, vista l’amicizia con i sauditi, a inviare 120mila soldati nel Golfo per difendere gli interessi americani dagli attacchi iraniani. Ma poi Trump ha smentito. Che cosa sta accadendo?
Una simile operazione mi sembrerebbe estremamente improbabile per un’unica ragione: nessuno, neanche gli americani, sa dove potrebbero essere collocati. Fisicamente chi li ospita? Nessuno li vorrebbe. Dove vanno 100mila uomini? È un numero immenso.
Visto che Usa e Arabia sono alleati anche in funzione anti iraniana, li potrebbero ospitare i sauditi.
Lei forse non ricorda il dramma che si visse in quel paese durante la guerra del ’90 quando furono obbligati a ospitare i soldati americani. Fu un autentico atto blasfemo che mandò in crisi il paese. E quella volta l’Arabia Saudita, dopo la conquista del Kuwait, aveva pure paura di essere attaccata da Saddam. Oggi nonostante i contrasti non ci risulta che l’Iran voglia attaccare l’Arabia.
Però Trump denuncia Teheran di essere dietro ai sabotaggi alle petroliere. Una scusa per attaccare?
Sì ma devono dimostrarlo. Una cosa è quello che uno ritiene, l’altra è quello che succede davvero. Diamo per scontato che siano stati gli iraniani: mi sfugge perché gli americani dovrebbero colpire l’Iran.
Perché è da quando sono usciti dall’accordo sul nucleare che mettono Teheran sotto pressione con ogni scusa.
Ma non è possibile attaccare una nazione per un motivo così. Trump fa Trump, non dobbiamo stupirci, fa sempre la voce grossa. La speranza è che all’interno dell’amministrazione ci siano persone ragionevoli che lo tengano calmo.
In realtà c’è uno come John Bolton che pare non veda l’ora di attaccare l’Iran.
In effetti Bolton è un personaggio inquietante con una visione messianica nei confronti dell’Iran del tutto ingiustificata, e che purtroppo ha un ruolo importante.
Possiamo dire che l’America stia usando la stessa tattica usata con Kim Jong-un?
Direi di sì, è la tattica di alzare lo scontro il più possibile per poi negoziare da condizioni di forza. Inoltre l’America oggi in Medio Oriente si muove solo in funzione di aiutare Arabia Saudita e Israele.
L’Iran accetterà di trattare da una condizione di inferiorità?
Chi è che è uscito dall’accordo e per quali motivi? Gli stessi americani dicono che l’Iran ha rispettato gli accordi, se no dal trattato sarebbero usciti tutti. L’accordo di fatto l’ha violato l’America. In politica in generale e in particolare in quella estera è determinante la credibilità, ho forti dubbi che quella degli Usa sia efficace. Nel momento in cui chi ha firmato un accordo poi si sfila, la sua credibilità è compromessa. Anche la vicenda venezuelana lo sta dimostrando.
In politica estera Trump ha un modo di agire molto poco ortodosso. Quanto questa ultima minaccia può spaventarci o meno?
La sua è una politica estera fatta di up and down, su e giù. Diventa difficile trovare un filo rosso logico che possa permettere di dare giudizi ponderati. Il punto determinante è se Trump stia facendo guadagnare punti agli Usa, secondo me no.
(Paolo Vites)