Nel corso degli ultimi mesi si è sempre più messo l’accento sulla pervasiva propagazione delle operazioni informative (IO), comunemente chiamate mis/dis-informazione e fake news, sulle piattaforme di social networks e dei media outlets quali giornali, riviste, radio, televisioni e siti web. Nella narrazione più diffusa gli attori principali sono in genere individui od organizzazioni malevoli, spesse volte nation-state, i quali lavorano per minare i valori fondativi della democrazia occidentale e che operano al di fuori dello spettro di una comunicazione eticamente accettabile. Nello stesso tempo, sull’altro lato del campo di battaglia informazionale sono emerse diverse entità organizzative quali istituzioni accademiche, società commerciali di cybersecurity e associazioni no profit le quali hanno, senz’altro con merito, contribuito ad alzare il velo su come vengono effettuate tali campagne e sul crescente grado di sofisticatezza delle stesse. In questo modo è stato possibile diffondere una cultura dell’awareness generale rispetto alla diffusione delle campagne IO monitorando i contenuti e facendo debunking delle stesse.



Se tutto ciò è abbastanza pacifico e acclarato presso la pubblica opinione, vale qui rilevare che è passato quasi del tutto inosservato, invece, che la disinformazione e le fake news sono divenute degli strumenti consolidati nel lavoro quotidiano di alcune entità organizzative quali società di marketing, comunicazione e pubbliche relazioni (PR). Queste ultime hanno approcciato la mis/dis-informazione come un’opportunità commerciale e una legittimazione del proprio specifico professionale. In questo senso, esse si sono fatte promotrici di una narrazione in cui tendono a posizionare la propria pratica professionale come etica, affidabile e sostanzialmente veritiera, mentre contemporaneamente cercano di correggere e normalizzare la “menzogna organizzata” immessa nei circuiti comunicativi da parte di altre entità organizzative malevoli. Nel fare ciò svolgono senz’altro un’opera meritoria, al pari di istituzioni accademiche, società commerciali di cybersecurity e associazioni no profit, di cui si è già detto.



La relativa novità è che si stanno diffondendo anche delle società di PR che svolgono una vera e propria attività di IO. Del resto, si tratta, di un settore in forte espansione in cui queste società private vengono pagate per generare campagne IO, diffondendo informazioni false e manipolando contenuti online. Le loro tattiche, ad esempio, includono l’utilizzo di una combinazione di intelligenza artificiale e lavoro manuale a basso costo per creare molteplici lotti di account di social media falsi, diffondere informazioni manipolate e persino creare siti web di verifica dei fatti che promuovono la disinformazione.



I principali clienti di queste società PR includono sostanzialmente due casi. Il primo è quello che vede quali attori principali quei clienti interessati a plasmare il discorso pubblico che non avrebbero le risorse o le competenze per gestire in proprio un’operazione di influenza, e perciò si devono avvalere di un’azienda che lo faccia per conto loro. Il secondo caso è quello che vede la presenza di attori più sofisticati i quali utilizzano le società di PR come un velo per offuscare la propria identità. In questo secondo caso le attività di IO sono molto più difficili da identificare e tracciare in quanto se un Governo o un attore malevolo assumono una società di PR, non sempre si è in grado di stabilire i relativi collegamenti tra gli stessi.

La linea di tendenza attuale è che, in ambedue i casi, bisogna aspettarsi una crescita di tale mercato con l’entrata nello stesso di nuovi attori i quali utilizzano società di PR e altri intermediari per nascondere la propria identità e che anche i piccoli attori, sempre più, facciano ricorso a tali servizi IO. Questi ultimi, potrebbero diffondersi, inoltre, anche all’interno del dark web mediante modalità di sottoscrizione as-a-Service.

Resta inteso che il maggiore grado di sofisticazione, in tali campagne informazionali, si ottiene quando le società di PR sono in grado di contattare direttamente alcuni opinionisti e influencer culturali cercando di indurli a sottoscrivere narrazioni adatte alle specifiche strategie dei loro clienti. In questo modo, si riescono a moltiplicare gli effetti informazionali i quali potranno essere riutilizzati anche a supporto di ulteriori campagne.

Una spiegazione del perché ciò avviene potrebbe essere individuata approfondendo il carattere intrinseco dello specifico dell’attività professionale. Nell’ambito delle PR, difatti, la gestione dei problemi di comunicazione può essere considerata come un primario nucleo strategico. In senso generale, in tali problemi possono esservi ricompresi gli sforzi per monitorare, analizzare e comunicare con il pubblico in merito alle possibili controversie che sorgono tra due o più gruppi opposti in diretta competizione per risorse naturali, economiche, politiche o simboliche. Tale controversie comunicative sono sempre socialmente costruite e possono comportare conseguenze negative per una o più persone, imprese o gruppi sociali.

Il ruolo delle agenzie di PR consiste, dunque, nell’aiutare i propri clienti a identificare le tendenze e i problemi, monitorare l’ambiente circostante, prendere decisioni, adattarsi ai continui cambiamenti, selezionare le linee d’azione e guidare la comunicazione esterna riferita a una varietà di pubblici sensibili all’argomento al fine di raggiungere degli effetti informazionali. Soprattutto quando nelle campagne IO prevalgono gli aspetti emotivi piuttosto che i dati fattuali e i rischi di fallimento sono elevati. In altri termini, tali problemi comunicativi devono essere intesi alla stregua di una pressione esterna che potrebbe avere un impatto significativo sull’impresa e sui gruppi sociali e sui suoi interessi futuri, se non adeguatamente affrontati e quantomeno fatti oggetto di appropriata mitigazione.

In conclusione, se considerate alla stregua dello specifico professionale e come una mera questione organizzativa, le fake news e le campagne IO costituiscono delle potenziali minacce agli asset reputazionali e rappresentano, quindi, problemi rilevanti per i professionisti delle PR e il loro ruolo nel monitorare l’ambiente digitale. In questo senso, l’evoluzione delle tradizionali tecniche di propaganda non può che vederli protagonisti anche delle campagne informazionali sempre più diffuse nell’infosfera, grazie anche alle tensioni geopolitiche attuali.

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