Sebbene Donald Trump sia definitivamente uscito di scena, le relazioni tra Cina e Occidente non si sono normalizzate come per incanto. Al contrario, le tensioni su questo asse sono continue e crescenti e coinvolgono non solo gli Usa ma anche i suoi alleati. Una prova in questo senso è arrivata dalla Gran Bretagna, che ha impartito una severa lezione a Pechino spegnendogli uno dei megafoni preferiti per la sua propaganda globale.
Il 4 febbraio infatti l’Office of Communications, l’autorità britannica regolatoria delle comunicazioni nota con l’acronimo Ofcom, ha revocato la licenza di trasmissione a Cgtn, il network satellitare cinese che è il braccio internazionale della China Central Television (Cctv), operante in oltre 160 Paesi. Cosa ha spinto l’Ofcom ad adottare un così drastico provvedimento? Quali anomalie cioè ha riscontrato in un network che nel suo sito web si presenta come un medium che garantisce “alle audiences globali una copertura giornalistica accurata e tempestiva e ricchi servizi audiovisivi promuovendo la comunicazione e la comprensione tra la Cina e il mondo”?
Dietro questa facciata apparentemente benigna il regolatore ha ravvisato una colossale violazione del requisito chiave richiesto ad ogni emittente per beneficiare di una licenza, e cioè la presenza di un editore indipendente che garantisca gli standard giornalistici essenziali, come l’imparzialità. È emerso al contrario che l’editore cui è stata concessa la licenza per Cgtn, ossia Star China Media Limited, è in realtà un mero distributore di contenuti prodotti da altri e in ultima analisi controllati dal Partito comunista cinese. È una condizione esplicitamente proibita dalle regole in vigore in Gran Bretagna dove non è consentito a soggetti politici di detenere licenze per la trasmissione.
“La nostra indagine – ha fatto sapere Ofcom – mostra che la licenza per Cgtn è detenuta da un’entità che non ha il controllo editoriale sui propri programmi”. Di fronte a questa contestazione Cgtn ha obiettato poco plausibilmente che la sua situazione non differisce da quella di altri network satellitari globali come ad esempio la Bbc, France Télévisions e la giapponese Nhk. Ma questa versione non ha retto alle controdeduzioni di Ofcom la cui attività di indagine, alimentata anche da esposti di privati cittadini, ha rilevato che la realtà è ben diversa.
Dinanzi alla fermezza di Ofcom, a nulla è valso il tentativo dell’ultimo minuto da parte di Cgtn di trasferire la licenza a un’altra organizzazione, la Cgtn Corporation: una mossa che non ha avuto esito sia perché, come ha spiegato Ofcom, la domanda presentava numerose lacune, sia perché anche la nuova compagnia manteneva lo stesso problema di eterodirezione da parte del Pcc. Ora dunque, è la conclusione dell’ente regolatorio, “riteniamo appropriato ritirare la licenza a Cgtn di trasmettere in Gran Bretagna”.
Tra i primi a salutare con favore la decisione c’è stato Simon Cheng, un ex addetto del consolato britannico di Hong Kong che era stato arrestato nel 2019 e costretto ad un’umiliante confessione su Cgtn circa sue responsabilità in strani giri di prostituzione. “Giustizia è stata finalmente fatta”, ha esultato Cheng, dicendosi felice per il fatto che “il portavoce del regime totalitario del Pcc non avrà più una base d’appoggio in Gran Bretagna”.
Identica è stata la soddisfazione di Peter Humphrey, un investigatore privato cui fu parimenti estorta una confessione poi trasmessa via etere da Cgtn. ”Considerando il tipo di brutali violazioni dei diritti umani in cui Cgtn è stata coinvolta – è il commento di Humphrey – penso proprio che non dovremmo avere organizzazioni del genere sul nostro suolo”.
Anche dal mondo della politica sono giunti apprezzamenti. Il parlamentare Julian Knight, presidente della Commissione che si occupa di cultura, digitale e media, ha considerato la decisione di Ofcom “come un potente ammonimento: il diritto di trasmettere si accompagna a delle responsabilità e al principio di accountability. Chi non raggiunge questi standard non sarà tollerato”.
Naturalmente non poteva mancare la furiosa reazione di Pechino. “Da una parte – ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin – i britannici invocano la libertà di stampa, dall’altra hanno in sprezzo i fatti e revocano la licenza a Cgtn. Questo è un volgare doppio standard nonché oppressione politica”.
E poiché i cinesi ci mettono poco a passare dalle parole ai fatti, ecco partire da Pechino, a poche ore dalla decisione di Ofcom, l’accusa di diffondere “fake news” rivolta alla Bbc per un servizio che, secondo l’accusa cinese, ha presentato un’esercitazione dell’antiterrorismo come se fosse una misura di controllo della pandemia. L’accusa è stata accompagnata dal secco invito a “smetterla con gli attacchi maligni rivolti alla Cina e di attenersi all’etica professionale”.
Ma poiché lo scotto per la mossa britannica era troppo, una settimana dopo è arrivata la seconda razione: la decisione da parte della National Radio and Television di “spegnere” niente meno che la Bbc in territorio cinese con l’accusa di aver anch’essa fabbricato “fake news” su temi come lo Xinjiang e il Coronavirus. Una mossa che il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha immediatamente condannato come una “inaccettabile limitazione della libertà dei media”.
Come sanno tutti gli estimatori di Radio Free Europe / Radio Liberty, durante la guerra fredda si è combattuta la famosa “guerra delle onde” condotta tramite radio che trasmettevano in territorio nemico. A decenni di distanza e dopo enormi progressi tecnologici e cambiamenti politici, la situazione sembra essere immutata anche se con nuovi attori e mezzi.
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