Fra i tanti effetti indesiderati dell’emergenza coronavirus, c’è anche la paura che, oltre alle persone, siano infettati pure i nostri prodotti commerciali. Ci sono infatti paesi che stanno chiedendo all’Italia di etichettare quello che viene esportato oppure paesi che intendono rifiutarlo, il che sta provocando un danno enorme dal punto di vista economico. E’, l’ennesimo, falso allarme, un’ulteriore fake news generata dalla ancora scarsa conoscenza del virus e da una certa incapacità di accogliere quello che la scienza sta rendendo pubblico. Secondo Vito Fazio, professore ordinario di Patologia generale e clinica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, “si sta montando una polemica sui prodotti italiani che potrebbero essere contaminati. Questo non è vero. Il coronavirus è un virus labile, che fuori da un organismo perde quasi immediatamente forza e decade. Non ci sonopericoli”. 



Ieri si è registrata una prima frenata dei contagi: solo il 16% in più rispetto al +50% del giorno precedente. E’ un segnale incoraggiante o abbiamo bisogno di ulteriori conferme?

Fino a una settimana fa sussisteva un’ovvia difficoltà nella gestione dei dati, molti dei quali del tutto inattendibili. Adesso, man mano che tutto il sistema impara a mettere in atto procedure corrette di classificazione dei contagiati e delle persone infette, i dati si consolidano, anche se in questo momento è ancora presto per trarre conclusioni definitive. In Occidente come in Cina si stanno avviando misure che sembrano essere appropriate e che stanno funzionando.



Questi sono i giorni decisivi per capire se l’epidemia potrà essere contenuta. Diventa davvero importante limitare i contatti?

Certo. Partiamo da un presupposto: i numeri forniti dal direttore generale dell’Oms ci dicono che la capacità di infezione e la virulenza del virus non sono così drammatici come spesso vengono dipinti in generale.

Ci spieghi meglio.

In questo momento non ci sono a disposizione anticorpi generici di copertura, per cui è più facile infettarsi. Man mano però che il virus si diffonde, la popolazione rimane più coperta, sia grazie alle maggiori conoscenze scientifiche sia avviando i sistemi immunitari nel proprio corpo, che stanno appunto imparando a riconoscere il virus. Chi guarisce ha sviluppato un sistema immunitario capace di portare alla guarigione e questo è un argine al diffondersi delle infezioni, come avviene sempre in questo tipo di epidemie.



Il virus si trasmette solo attraverso starnuti e tosse o anche nell’aria che respiriamo potrebbero esserci particelle del virus? In tal caso non sarebbe opportuno l’uso delle mascherine?

No. Le particelle che emettiamo hanno un limite spaziale, perché poi decadono. Il virus non è capace di vivere a lungo all’esterno di un organismo. C’è stata polemica sui giornali per notizie arrivate dall’estero sul rischio dei prodotti italiani che potrebbero essere contaminati, ma il virus è labile. Non ci sono pericoli toccando superfici. Ovvio che se si mantiene la distanza di sicurezza tra le persone è meglio. Vorrei però aggiungere una cosa, già ricordata da molti miei colleghi.

Ci dica.

Piuttosto che sulle mascherine insisterei sul dire alle persone di non usare sostanze irritanti come i disinfettanti. La cosa più opportuna è lavarsi le mani con del normale sapone. Altrimenti si rischia di alterare le difese naturali della pelle e si ottiene un effetto negativo.

Resta ancora il problema degli asintomatici ma con forte carica virale che possono trasmettere l’infezione?

E’ un’altra delle notizie scientifiche da convalidare. Capire perché ci sono soggetti con altissima carica virale e perché ci sono persone con diversa carica virale ed effetto patologico indotto. Lo stiamo ancora studiando.

Il ceppo italiano del coronavirus, visto che sta girando in contemporanea con il virus dell’influenza classica, può essere diventato più aggressivo di quello cinese?

No, non ci sono dati che possono sostenere questa affermazione. La scienza è fatta proprio di questo: dati da essere provati, riprodotti e convalidati. In questo momento stiamo raccogliendo i dati, sappiamo che la capacità di infettare è relativamente bassa e che il virus colpisce a pochi metri. I dati scientifici sono in elaborazione, c’è bisogno ancora di tempo per una risposta completa e soddisfacente sul coronavirus.

(Paolo Vites)

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