Nel loro insieme, i servizi israeliani si distinguono per le loro eccellenti capacità di raccolta e valutazione dell’intelligence. Tuttavia, la qualità delle loro analisi è stata più volte messa in discussione, cosa che ha esposto lo Stato ebraico a situazioni a volte molto delicate. Questi fallimenti, spesso discussi, sono principalmente dovuti al fatto che Aman – il cui dipartimento di previsione è uno dei principali reparti – ha commesso nel corso della sua storia molteplici errori di valutazione.
Ingannati dall’Egitto
Il 18 febbraio 1960, per la prima volta, Aman è stata presa in contropiede. La quasi totalità dell’esercito egiziano si era concentrata lungo la frontiera israeliana, in particolare nel deserto del Negev, senza che questa manovra fosse rilevata. Se avesse voluto, Nasser avrebbe potuto invadere lo Stato ebraico e occupare il Negev perché le Forze di difesa israeliane (IDF) non avevano ricevuto alcun allarme e non erano affatto preparate. Cairo annunciò la presenza delle forze tre giorni dopo. Un altro errore è stata la valutazione errata delle intenzioni egiziane nei diciotto mesi precedenti la guerra dei Sei Giorni. Gli esperti di Aman erano convinti che Nasser non avrebbe intrapreso un confronto con lo Stato ebraico, dato che il suo esercito era impegnato in Yemen, dove affrontava una situazione difficile. Nel febbraio 1967 l’intelligence militare andò oltre: affermò che l’Egitto non avrebbe potuto considerare una guerra contro Israele prima del 1970. Sfortunatamente, queste diverse valutazioni si rivelarono errate, perché nel maggio 1967 Nasser concentrò le truppe egiziane nel Sinai.
L’errore di analisi e previsione più grave – e quello che ha avuto conseguenze più celebri – è quello in cui Israele è stato vittima in ottobre del 1973, quando fu sorpreso all’inizio della guerra del Yom Kippur. In questa occasione, Aman si rivelò incapace di rilevare le intenzioni ostili dell’Egitto e della Siria, di interpretare correttamente le informazioni di cui disponeva e di smascherare il sofisticato piano messo a punto dai suoi avversari per nascondere i loro preparativi. Le conseguenze avrebbero potuto essere disastrose per la sopravvivenza stessa dello Stato ebraico. Le ragioni di questi errori sono ancora oggi oggetto di studio.
Il Concetto
Dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, gli analisti di Aman svilupparono la tesi che l’Egitto non era pronto per una guerra contro Israele. La loro teoria, conosciuta come “Il Concetto”, si basava sull’idea che, a causa della schiacciante vittoria israeliana durante la guerra dei Sei Giorni, le armate arabe non si sarebbero lanciate in una nuova offensiva a meno di avere ricevuto informazioni significative e tempestive. Queste informazioni avrebbero dovuto essere comunicate da una fonte egiziana di alto livello, Marwan Ashraf, secondo lo stato maggiore del Cairo, il quale non prevedeva di riconquistare i territori persi nella guerra dei Sei Giorni, poiché non avrebbe ricevuto armi offensive dall’Unione Sovietica. Aman stimava quindi che, fintanto che queste armi non fossero state ricevute e pronte all’uso, Israele sarebbe stato al sicuro. Secondo “Il Concetto”, gli Arabi non si sarebbero impegnati in una guerra totale contro Israele, ma avrebbero lanciato, quando possibile, solo attacchi coordinati contro gli aeroporti israeliani, al fine di ridurre la superiorità aerea dello Stato ebraico. Di conseguenza, gli esperti di Aman ritenevano che la Siria non avrebbe attaccato senza l’Egitto. La loro convinzione sulla sicurezza era rafforzata dalla costruzione della “Linea Bar-Lev”, una serie di fortificazioni difensive lungo il canale di Suez per rilevare e rallentare qualsiasi offensiva terrestre egiziana e permettere a Tsahal (l’esercito israeliano) di mobilizzarsi e intervenire. Quindi, agli occhi loro, nessun rischio di conflitto poteva essere preso in considerazione prima di almeno due anni – fino al 1975 – senza l’approvvigionamento di armi da Mosca a Siria ed Egitto.
La strategia di Sadat
La “religione” del Concetto e l’influenza di Aman sui circoli al potere hanno profondamente influenzato la percezione della situazione da parte dei leader politici e militari. All’interno dello stesso servizio segreto militare, ciò ha portato alla negligenza e al rifiuto di qualsiasi altra informazione che contraddicesse il percorso stabilito. Così, nell’autunno del 1972, Aman non rilevò il cambiamento di atteggiamento del presidente egiziano Anwar al-Sadat, succeduto a Nasser e considerato come un leader debole e senza esperienza: infatti non percepiva che Sadat, consapevole che sarebbe stato molto probabilmente impossibile vincere Israele sul piano militare, cercava di ottenere un successo che, anche se limitato e temporaneo, gli avrebbe permesso di ristabilire il prestigio del suo Paese dopo la sconfitta del 1967 e soprattutto di trovarsi in una posizione meno scomoda nelle negoziazioni per la restituzione del Sinai, sulla quale sperava che Urss e Usa avrebbero forzato Tel Aviv. Per raggiungere questo obiettivo, Sadat non aveva bisogno di aspettare la consegna dei missili Scud che Mosca avrebbe dovuto fornire. Una delle ipotesi di base del Concetto crollava senza che i servizi segreti israeliani se ne accorgessero. Marwan Ashraf, la fonte ben posizionata nell’immediato entourage del Rais, non informò Israele del cambiamento di strategia, sia perché non ne era a conoscenza, sia perché era tornato o era stato ingannato dal controspionaggio egiziano.
In Israele, quando divenne evidente per le autorità che Il Cairo e Damasco avevano intenzioni aggressive, gli analisti dell’intelligence militare rifiutarono di credere che gli Stati arabi fossero pronti ad attaccare. I movimenti delle truppe egiziane verso il confine furono chiaramente rilevati e segnalati ad Aman, ma Aman, prigioniero del Concetto, persistette nel non analizzarli che come manovre militari di intimidazione. Tuttavia, i rapporti sull’attivazione simultanea dell’esercito siriano erano molto preoccupanti: i rinforzi siriani venivano inviati sul Golan, le licenze venivano cancellate e le riserve richiamate. Il Comando Nord di Tsahal non si allarmò. Ma, poiché Aman continuava a credere che la Siria non avrebbe attaccato senza l’Egitto – e che quest’ultimo non avesse intenzione di entrare in guerra –, le intenzioni siriane non furono considerate aggressive.
Avvertiti da re Hussein
Questa cecità dell’intelligence militare persisteva nonostante l’avvertimento del re Hussein di Giordania al primo ministro Golda Meir, il 25 settembre 1973, e quello della CIA il 29, annunciando l’alta probabilità di un attacco coordinato egiziano-siriano. Fino all’offensiva simultanea del 6 ottobre, che colse Israele totalmente di sorpresa, Aman considerò che non c’era motivo di preoccuparsi, dimostrando il detto “Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere”. Di fronte alla violenza e ai primi successi dell’offensiva siriano-egiziana, i leader israeliani, disorientati, si riunirono e per un momento considerarono l’uso dell’arma nucleare: bombe atomiche furono montate su aerei e sui missili Jericho. Solo l’intervento del capo di stato maggiore di Tsahal, il generale David Eleazar, uomo di una solidità e di una esperienza a tutte le prove, permise di convincere i politici che la vittoria militare era possibile. In effetti, l’esercito israeliano riuscì a rovesciare in extremis la situazione. La guerra del 1973 ha tuttavia avuto due conseguenze disastrose per il piano del servizio segreto. Da un lato, i commandos siriani si impadronirono della stazione d’ascolto del monte Hermon e di un ufficiale dell’Unità 8200, da cui riuscirono ad ottenere informazioni capitali sui sistemi di intercettazione e i codici segreti di Tsahal. D’altro canto, questo evento portò la popolazione israeliana, per la prima volta, a perdere fiducia nella sua comunità di intelligence.
La cecità analitica
Da allora Aman ha maturato una sorta di cecità analitica. Infatti, tra la fine del 1973 e il 1975, venne allertato più volte dalle autorità di sicurezza sulla possibilità di un nuovo conflitto, e non fu in grado di valutare correttamente l’evoluzione della posizione del presidente egiziano Sadat. Pensando che Il Cairo non fosse ancora pronto a fare la pace, le sue stime non permisero alle autorità israeliane di prepararsi all’iniziativa di pace di Sadat nel 1977 e furono completamente sorprese da questo gesto. Nel 1980, l’intera comunità dell’intelligence israeliana nel suo insieme non è stata capace di anticipare l’imminenza del conflitto tra l’Iraq e l’Iran. Alla fine degli anni 80, Aman non ha rilevato neppure l’incremento delle capacità nucleari dell’Iraq, tantomeno ha saputo anticipare l’invasione del Kuwait da parte delle forze di Saddam Hussein nell’agosto 1990. Al contrario, i suoi esperti stimavano che l’Iraq avrebbe avuto bisogno di diversi anni per ricostruire e riorganizzare il proprio esercito dopo la fine del conflitto contro l’Iran prima di poter considerare un’altra guerra nella regione.
L’intelligence israeliana non ha previsto neanche l’evoluzione della strategia palestinese dopo la nuova politica adottata dal Consiglio nazionale palestinese, proponendo una soluzione al conflitto arabo-israeliano sulla base della risoluzione 181 delle Nazioni Unite, che preconizzava di dividere la Palestina mandataria in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo. Come i loro omologhi occidentali, i servizi di Israele furono ugualmente sorpresi dagli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Poi, nei mesi che precedettero l’invasione americana dell’Iraq, nel 2003, Aman sovrastimò le capacità irachene in materia di armi di distruzione di massa e l’intenzione di Saddam Hussein di utilizzare queste armi contro Israele se il suo regime si fosse trovato spalle al muro.
Hezbollah resiste
Ma una delle più grandi sorprese recenti che ha conosciuto l’intelligence israeliana avvenne durante l’estate del 2006, in occasione dello scoppio di una campagna militare contro Hezbollah, nel Sud Libano. Con grande stupore degli israeliani – ma anche degli esperti – Hezbollah riuscì a resistere agli attacchi di Tsahal. Questo fatto è spiegato in grande parte dalla tattica che il movimento sciita libanese sviluppò, sotto l’impulso del suo leader Hassan Nasrallah, a partire dall’evacuazione delle forze israeliane dal Sud Libano nel 2000. Il comando di Hezbollah ha infatti attentamente esaminato le ragioni delle sconfitte subite nelle guerre precedenti contro Tsahal e ha tratto insegnamento soprattutto dall’invasione rapida del Libano da parte degli israeliani nel 1982. Forti di questi insegnamenti, il movimento sciita ha adattato il suo dispositivo per tenere a bada gli israeliani nelle ostilità future.
Il Sud Libano era stato attrezzato con bunker, depositi di armi sotterranei, reti di comunicazione avanzate, sistemi di trasmissione sofisticati, ecc. I tunnel scavati appositamente permettevano ai combattenti sciiti di non farsi superare dalle forze israeliane e di ritirarsi nei momenti critici. Inoltre, il terreno roccioso era favorevole al rallentamento delle forze meccanizzate schierate da Tsahal, e i sentieri e le strade impervie erano state preparate con trappole ed imboscate. Hezbollah aveva anche acquisito una certa padronanza nell’uso di mine e di ordigni esplosivi improvvisati, grazie all’esperienza irachena. Per quanto riguarda l’armamento pesante, Hezbollah disponeva da 10mila a 12mila razzi Katyusha di 122 mm (gittata 20 chilometri), forniti prevalentemente dalla Siria, e di missili di fabbricazione iraniana Raad-2, Raad-3, Fajr-3 (gittata 45 chilometri) e Fajr-5 (gittata 75 chilometri). La difesa antiaerea era garantita da missili portatili SA-7 e da cannoni ZU-23. È molto probabile che missili più sofisticati siano stati utilizzati con l’aiuto dei pasdaran iraniani.
Soprattutto, lo stato d’animo dei combattenti di Hezbollah era completamente diverso da quello dei soldati israeliani. Infatti, il comando di Tsahal cerca, con tutti i mezzi, di minimizzare le perdite tra le sue truppe e di evacuare il più rapidamente possibile i feriti, il che spesso rallenta l’andamento delle operazioni. Al contrario, gli hezbollahiani sono fortemente determinati a morire come “martiri” e sono pronti a sacrificarsi, cosa che rappresenta per loro un onore profondo e una distinzione rispetto agli eserciti classici siriani o egiziani che Tsahal è abituata ad affrontare. All’inizio del conflitto, quindi, le forze armate israeliane si trovarono di fronte ad avversari che non avevano nulla da perdere e che combatterono con estrema aggressività. Sotto il profilo dell’intelligence, i servizi israeliani sono stati incapaci di penetrare nelle cellule operative di Hezbollah che applicavano rigorosamente le misure di sicurezza. Invece, il partito sciita libanese disponeva di ottime informazioni sui movimenti delle forze israeliane. Tutti i “civili” erano in realtà all’erta e avevano gli occhi e le orecchie puntati su qualsiasi movimento insolito, cosa che spiega come una grande parte della popolazione al Nord si sia mossa per anticipare le azioni di Tsahal, che cercava di respingere le popolazioni più a Nord. Alcuni agenti di intelligence erano anche riusciti ad infiltrarsi in Israele, come nel caso di un cittadino canadese-arabo arrestato per spionaggio dopo essere stato sorpreso a fotografare installazioni militari nel nord del Paese.
I media manipolati
Durante quel conflitto, Hezbollah mostrò anche una notevole padronanza della comunicazione, della manipolazione dei media e dell’azione psicologica. Le immagini di civili libanesi uccisi dalle forze israeliane venivano trasmesse molto rapidamente a tutte le reti televisive internazionali, mostrando gli “errori” israeliani. Poco importava se si scopriva in seguito che l’obiettivo effettivamente colpito era un camion che aveva sparato razzi su Israele dal garage di un edificio che ospitava numerosi civili; l’obiettivo della propaganda era stato raggiunto. All’indignazione degli occidentali si aggiungeva l’odio delle popolazioni musulmane, particolarmente sensibili a queste immagini mediatizzate. Questi episodi illustrano la tendenza di Aman a sovrastimare o sottovalutare le minacce, a volte basandosi su preconcetti obsoleti. L’impatto della cultura organizzativa, la resistenza ai cambiamenti e la difficoltà di prevedere e adattarsi a nuovi tipi di minacce hanno contribuito a queste valutazioni errate. Tuttavia, è importante riconoscere che l’intelligence, per sua natura, opera in un dominio di incertezze e ambiguità. Gli errori, seppur gravi, sono inseparabili dal rischio del mestiere. Ciò nonostante, ogni fallimento fornisce preziose lezioni che possono rafforzare la resilienza e l’adattabilità dell’intelligence di fronte a future sfide.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.