Venerdì scorso c’è stata una manifestazione a cui il nostro sguardo non è abituato. Nel silenzio della mattina rovente per il caldo, risuonavano dei piccoli gong mentre donne e uomini di ogni età si erano seduti sul marciapiede nella posizione yoga del fiore di loto. Non eravamo accanto a un tempio religioso ma a Roma, nel benestante quartiere Parioli, a pochi metri dall’Ambasciata della Repubblica popolare cinese.
I manifestanti si sono alternati con i loro cartelli e hanno praticato una meditazione spirituale ognuno assorto nelle sue preghiere, immobili e serenamente in un’altra dimensione. Alcuni di loro avevano tra le mani le fotografie di persone uccise. Erano i volti dei perseguitati appartenenti al Falun Gong, un movimento assolutamente non-violento ma violentemente contrastato dal regime comunista cinese. La loro terribile colpa è di credere nella via spirituale i cui principi sono verità benevolenza e tolleranza. Stiamo parlando di persone miti che fanno di questi principi il loro cammino di vita e aspirano a essere individui migliori per se stessi e pensano che nel mondo si raggiunga l’armonia seguendo quest’antica pratica.
Per chi corre dalla mattina alla sera sembrano strani, ma in realtà sono persone normalissime, studiano, lavorano hanno famiglie e i problemi di tutti, ma a differenza di gran parte di noi non sono stressati e soprattuto sono da sempre persone pacifiche. E ogni 20 luglio ricordano l’inizio della repressione in Cina contro il Falun Gong e in ogni parte del mondo dove l’associazione liberamente e gratuitamente svolge la sua attività d’insegnamento della pratica di esercizi spirituali e fisici.
Nel 1992 il Falun Gong apparve per la prima volta nel Nordest della Cina presentato dal maestro Li Hongzhi che attraversò il Paese, tenne seminari e insegnò gli esercizi fino a diffondersi con il passaparola perché gli esercizi miglioravano la salute mentale e fisica e predisponevano a una visione armoniosa e serena della vita. Da principio anche le autorità cinesi vedevano di buon occhio la pratica perché appunto benefica per lo stile di vita con il rispetto dei valori comuni. Eppure per i servizi di sicurezza il principio di seguire liberamente un movimento spirituale non direttamente controllato dallo Stato centrale poneva una questione molto più allarmante: il principio di indipendenza e la vasta popolarità che il movimento aveva raggiunto. Infatti, nel 1998 circa 70 milioni di cinesi si dedicavano alla pratica del Falun Gong.
Per il partito comunista cinese (dal 1949 il PCC è de facto l’unico soggetto dotato di potere politico, in quanto tale l’unico a potersi presentare alle elezioni, e ovviamente l’unico partito al governo, anche se in Italia ogni tanto si sente qualcuno che contesta il termine di “dittatura”) il movimento spirituale Falun Gong con un così vasto consenso interno e internazionale diventò un problema che poneva in secondo piano la dottrina comunista e la sua popolarità, ma soprattutto il principio che l’individuo possa credere in valori spirituali e per questo porsi fuori dall’influenza del partito comunista.
Era il 20 luglio del 1999 quando le autorità cinesi, il cui leader allora era Jiang Zemin, iniziarono una violenta campagna di propaganda che dipingeva i praticanti della Falun Gong come nemici del popolo e persone egoiste. La repressione si estese in tutto il Paese. Le poche notizie che arrivavano dalle associazioni dei diritti umani e da coloro che solo dopo aver abiurato erano riusciti ad andare via dalla Cina, raccontavano una realtà drammatica in cui i praticanti erano vittime di abusi, detenzioni illegali e psichiatriche, torture, lavori forzati, e campi di rieducazione dove venivano rinchiusi per riportarli alla ragione.
La repressione da allora non si è fermata e nel 2006 le notizie si sono fatte più allarmanti perché da inchieste svolte da organismi internazionali, i detenuti fisicamente sani e in buona salute sarebbero i candidati ideali per l’espianto degli organi e i praticanti della Falun Gong, proprio per il loro stile di vita sano e con gli esercizi dello yoga, avrebbero un corsia preferenziale. La chiamano banca vivente di donatori per trapianti d’organo dello Stato.<
Durante la manifestazione l’associazione Falun Gong ha fatto delle fotografie e distribuito delle cartoline con un fiore di loto, una pianta sacra che simboleggia la purezza, la saggezza, la bellezza la fertilità. Volevano ricordare il loro credo, i loro amici. Ricordare che la vita è fatica che esiste il dolore, ma che il cammino della saggezza sta anche nel superarlo e nell’affrontare le difficoltà che si incontrano con quella compassione che non fa perdere il senso del bene.
Sulla pagina Instagram di Nessuno tocchi Caino che ha aderito, e partecipato, un “passante”, uno che evidentemente sulle pagine dei diritti umani ci passa per caso, se non per sbaglio, si è lamentato perché si definiva la Repubblica popolare cinese una dittatura comunista. Ecco forse è arrivato il momento di fare un esercizio di memoria e chiamare le cose con il loro nome. I diritti umani passano anche per la verità storica da qualunque parte la si guardi.
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