Che cosa è l’agricoltura? La definizione classica, presente in diversi dizionari, ci dice che è l’arte e la pratica di coltivare il suolo, allo scopo di ottenerne prodotti utili all’alimentazione dell’uomo e degli animali. Altro fine è poi quello di procurare materie prime indispensabili per numerose industrie (cotone, lino, semi oleosi eccetera). In senso lato, include pure l’allevamento del bestiame e la silvicoltura. Se questo è il settore agricolo, normalmente i media ne parlano in modi molto più variegati che fanno riferimento alla gastronomia, alla cura del paesaggio, all’agriturismo, cioè a tutte quelle forme di “multifunzionalità” che ai nostri giorni concorrono al reddito dell’agricoltore.
Tuttavia, questa narrazione risulta parziale e fuorviante rispetto al vero valore del settore e alla sua importanza strategica, anche rispetto ai nuovi scenari geopolitici che si stanno delineando dopo gli anni di pandemia e la recente escalation bellica in Ucraina.
A ricordarci che il primo obiettivo del settore agricolo è quello di nutrire la popolazione mondiale è il WFP (World Food Programme), che in un suo documento avverte che “una crisi sismica della fame sta avviluppando il mondo nel mezzo di un tempo di necessità senza precedenti”. Sono sull’orlo della fame, in 38 Paesi, 44 milioni di persone, che si vanno ad aggiungere agli 811 milioni che soffrivano di fame già prima che scoppiasse la guerra in Ucraina. Parlare di rischio “sismico” non è quindi un’esagerazione. Anche l’aumento dei prezzi degli alimenti ha un impatto devastante nei Paesi a basso reddito, la cui popolazione destina circa la metà delle proprie entrate famigliari all’acquisto di cibo. La situazione è meno severa nelle nazioni ad alto e medio reddito, anche se la riduzione del potere d’acquisto porterà molte persone a ridurre la quantità e la qualità dei loro consumi alimentari.
Ugualmente la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) sottolinea che uno dei problemi centrali dell’umanità riguarda la necessità di produrre cibo a sufficienza per sfamare una popolazione mondiale in rapida crescita, che si stima supererà i 9 miliardi di individui entro il 2050. L’obiettivo indicato dalla FAO è quello di una “intensificazione sostenibile”, da intendere come un aumento della produzione di almeno il 60% nel prossimo trentennio. Tutto ciò attraverso una nuova agricoltura eco-compatibile, proiettata a migliorare l’efficienza fotosintetica delle piante e la loro tolleranza agli stress biotici e abiotici, nonché a progettare nuovi ideotipi di piante anche attraverso tecniche di biotecnologia.
Per quanto riguarda l’Europa è importante ricordare che è il principale esportatore di prodotti agroalimentari in valore: nel 2022 l’esportazione ha raggiunto i 229,8 miliardi di euro, il 31% in più rispetto al 2021 (dati della Commissione europea). Inoltre, per numero di occupati, i Paesi europei sono i primi al mondo. Per tali ragioni la transizione ecologica europea, se non vuole essere astratta e ideologica, dovrà tenere conto che non c’è cibo e non c’è futuro senza un’agricoltura altamente produttiva. Raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (Green Deal) è un obiettivo da perseguire, ma le strategie che si stanno considerando (strategia Farm to Fork) sono pericolose e non in grado di risolvere il problema della riduzione dei gas climalteranti del nostro pianeta e il contemporaneo aumento della produzione agricola.
L’impatto sulla nostra produzione genererebbe infatti un calo dal 7% al 15% rispetto ai livelli attuali (rapporti: JRC della Commissione europea; USDA del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense; ricercatori olandesi della Wageningen University & Research), nonché un aumento dei prezzi al consumo di circa il 10%, dovuto alle maggiori importazioni da Paesi terzi. Inoltre, la riduzione dei gas serra, prevista dalla contrazione delle produzioni europee, si annullerebbe per i rialzi equivalenti delle emissioni di gas serra dei paesi extra-Ue, che aumenterebbero le loro produzioni per coprire il fabbisogno dei cittadini europei.
Non di meno, le recentissime iniziative politiche della Commissione europea, la Nature Restoration (Regolamento per il ripristino della natura) e la revisione della Direttiva 128/2009 sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, non lasciano ben sperare. La prima prevedeva di escludere dalla produzione il 10% della superficie aziendale, ma, per ora, questa norma è stata bloccata. La seconda prevede il dimezzamento “lineare” nell’uso dei fitofarmaci, che a parere dell’Esecutivo Ue avrà un impatto trascurabile sulla “food security”, in quanto colpirà soprattutto colture “non essenziali”, come ad esempio il pomodoro e la vite. Risulta evidente la mancanza di un approccio realistico, in grado di valorizzare non solo le peculiarità dell’agricoltura mediterranea, ma dell’intera agricoltura europea, e di garantire un futuro alimentare sicuro alle prossime generazioni.
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