La Sottosegretaria Francesca Puglisi di fresca consegna delle deleghe da parte della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha annunciato un piano di rinnovamento delle politiche di sostegno alla conciliazione tra lavoro e famiglia per le lavoratrici e i lavoratori attraverso la messa a punto di un mese di congedo parentale del padre che non potrà essere trasferito alla madre, congedo affiancato a una serie di misure per promuovere una rivoluzione culturale. I sette giorni ottenuti in Legge di bilancio sono ancora pochi e c’è anche la predisposizione anche di un diverso uso dei fondi europei destinati alle politiche di contrasto alle disuguaglianze.
Vero è che l’ispirazione arriva dal Parlamento europeo con la Direttiva che introduce dieci giorni lavorativi di congedo di paternità obbligatorio (in Italia dal 2019 sono 5 giorni diventati appunto 7 con la recente Legge di bilancio) e due mesi di congedo parentale retribuiti come requisito minimo in tutti gli Stati membri. L’obiettivo è facilitare la conciliazione tra lavoro e famiglia e rafforzare il ruolo del padre. L’Italia, come gli altri Stati membri, si sta adeguando per recepire appieno nelle proprie leggi la Direttiva. Attenzione a non confondere però il congedo di paternità con il congedo parentale, anche se la Direttiva specifica che gli Stati devono assicurare i requisiti minimi e lascia ampia discrezionalità. Infatti, la Direttiva esplicita che il padre avrà diritto ad almeno 10 giorni lavorativi di congedo di paternità retribuito nei giorni vicini alla nascita. Tale congedo dovrà essere pagato a un livello non inferiore all’indennità di malattia. Dunque in Italia sarà per ora di 7 giorni il congedo obbligatorio per il padre, più un giorno facoltativo previo accordo con la madre e in sua sostituzione.
La Direttiva poi prevede due mesi di congedo parentale non trasferibile e retribuito. Questo congedo sarà un diritto individuale, in modo da creare le condizioni adeguate per una distribuzione più equilibrata delle responsabilità. Se è un diritto individuale potrà essere usato anche dal padre per un mese e per il proprio bambino e come congedo di paternità visto che il proprio figlio è un parente? La Direttiva prevede che gli Stati membri fissino un livello adeguato di retribuzione, o indennità, per il periodo minimo non trasferibile di congedo parentale, tenendo conto del fatto che questo spesso comporta una perdita di reddito per la famiglia e che invece anche il familiare più retribuito (spesso un uomo) dovrebbe potersi avvalere di tale diritto. Vero è che il Governo italiano ha la discrezionalità di applicazione della norma Ue e nulla osta a che il congedo parentale possa essere usato (in quei due mesi) dal padre per accudire il proprio figlio e non solo nell’ambito -previsto dalla Direttiva – dei 5 giorni all’anno di congedo per i lavoratori che prestano assistenza personale a un parente o a una persona che vive nella stessa famiglia a causa di un grave motivo medico o infermità connesse all’età.
Vero è che questa Direttiva vuole realizzare una maggiore parità di genere e una migliore divisione delle responsabilità. Le donne hanno sofferto a causa della mancanza di parità, che ha portato a differenze di retribuzione e a un divario pensionistico e devono essere sostenute per entrare nel mercato del lavoro e raggiungere il loro pieno potenziale, mentre i padri avranno un ruolo più importante nell’educazione dei loro figli. Questa Direttiva va anche a vantaggio dei familiari che si occupano di una generazione più anziana. È positiva per gli uomini, le donne, le famiglie e l’economia. Il tasso di fecondità italiano è stimato all’1,42 nel 2030 e all’1,66 nel 2070. Pertanto gli interventi normativi per il rilancio demografico rappresentano una priorità.
L’accesso ai congedi parentali diventa uno strumento dirimente, oltre che la più importante forma di conciliazione tra l’attività professionale e la famiglia. L’interesse, da parte dei papà che vivono in Italia, sembra esserci. Recenti statistiche certificate dall’Inps evidenziano l’aumento dei padri che si assentano dal lavoro utilizzando i congedi previsti dalla legge: sono passati dai 50.474 del 2013 ai 107.369 del 2017, con una crescita del 113 per cento, anche se si tratta comunque di poco più della metà dei potenziali beneficiari. Dunque bisogna insistere e operare su altri interventi di sostegno all’occupazione femminile anche riposizionando la spesa pubblica sul welfare, perché la programmazione dell’utilizzo del Fondo europeo comporta ovviamente tempi abbastanza lunghi e una relazione strettissima con le regioni che devono cambiare velocemente il paradigma sul quale hanno fondato le loro politiche sociali.
Dunque alcuni suggerimenti operativi di raccordo con le Regioni sull’uso delle risorse vanno concordati. E non sarà facile. Sappiamo bene che per una crescita della natalità sono necessari interventi strutturali, soprattutto per l’occupazione femminile: prima di tutto incentivi alle aziende con la decontribuzione del salario femminile e crediti di imposta, una politica di ampliamento dei fondi bilaterali che sostengano il reddito delle lavoratrici e dei lavoratori come supporto ai congedi parentali e soprattutto subito un investimento sugli asili nido e i servizi scolastici perché sappiamo bene che anche quando il lavoro c’è, sono gli asili a mancare.