Una storia triste, come tante ce ne sono in questo nostro mondo, ma che non merita la “litania” del dramma fine a se stesso: una famiglia che abbandona il proprio figlio, per di più disabile, è una sconfitta per tutti come ben annota la Fondazione Trentina Autismo nel denunciare il caso occorso presso la “Casa Sebastiano” di Coredo. Lo ha riportato oggi il Corriere della Sera ed è una storia che purtroppo offre più di un pugno allo stomaco: «Succede che un giorno, quello che era iniziato come un normalissimo giorno, qualcosa irrompa come un fulmine a ciel sereno, un lampo che manda in corto circuito le nostre credenze comuni. Senza preavviso, senza cautele…Un giorno come un altro, il telefono squilla, all’altro capo l’assistente sociale di un’altra regione chiede informazioni: “Dobbiamo trovare una sistemazione per un bambino di 11 anni con diagnosi di autismo”». Quel centro aiuta e sostiene da anni centinaia di famiglie che si ritrovano con la dura prova dell’autismo in casa e con le differentissime sfumature di una malattia piuttosto diffuso: «La famiglia non lo vuole più» si sente dire dall’altra parte della cornetta. Un assistente sociale che aveva a cuore la sorte di questo piccolo ragazzino avvisava così il Centro Sebastiano che la famiglia, probabilmente sfinita da questi anni di complesse e sfibranti prove che la realtà ha sottoposto loro, non voleva più quel loro figlio.



L’AUTISMO, IL RIFIUTO E LA DISPERAZIONE

Per legge ora il ragazzino è finito affidato al Tribunale dei Minori che dovranno capire per bene come gestire questa drammatica e difficile situazione tanto personale quanto famigliare: la solitudine e disperazione di un bambino di 11 anni affetto da autismo e nello stesso tempo il dramma di una famiglia che non riesce più a reggere il peso del sacrificio e la responsabilità a loro affidata. Al netto di tutti i commenti e giudizi che si possono accompagnare, resta la solitudine assoluta in cui questi genitori che non conosciamo si devono esser sentiti per arrivare addirittura ad abbandonare la carne della loro carne: «O sono disgraziati o sono disperati. In ogni caso abbiamo fallito. Le istituzioni hanno fallito, la società ha fallito», riporta ancora la Fondazione sul proprio portale online. Secondo Casa Sebastiano, nonostante lo sforzo profuso «è mancato il supporto delle Istituzioni, i servizi, l’aiuto necessari a che un bambino e i suoi genitori possano affrontare insieme la drammaticità di una disabilità dura, a volte durissima. È venuto meno il patto di aiuto ai deboli, il mandato etico, ancor prima che costituzionale, fondamento di ogni società che voglia dirsi civile, di sostegno ai componenti più fragili delle nostre comunità». Gli operatori si dicono certi, domani potrebbe portare novità positive, ma quello di oggi è un giorno nefasto dove una famiglia si è arresa e dove parallelamente «le istituzioni, tutte, hanno fallito». Una “resa” come la chiama Casa Sebastiano che non lascia in quella lettera alcuna speranza su un possibile futuro luminoso né per il bimbo né per la famiglia: non possiamo che augurarci che un trauma del genere possa essere lo spunto, il pugno allo stomaco necessario – ma dolorosissimo – per chiedere quella “mano” che finora ancora non avevano accettato fino in fondo.

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